Aiuto medico a morire: una questione su cui riflettere a fondo

LUCIANO ORSI

Medico palliativista, Vicepresidente SICP.

Riassunto. Con la recente e innovativa sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale italiana in merito al suicidio assistito si è riavviato in Italia un vivace dibattito sul tema. È pertanto inevitabile che anche i professionisti delle cure palliative siano coinvolti in una riflessione sugli aspetti empirici, etici, deontologici e giuridici dell’aiuto medico a morire (AMM), termine che comprende sia il suicidio medicalmente assistito sia l’eutanasia. Di qui l’importanza che ogni professionista sanitario acquisisca la consapevolezza della propria posizione etica su tale complesso e controverso tema. Analizzando il Position paper dell’American College of Physicianse vari altri documenti internazionali viene condotta un’analisi delle principali argomentazioni empiriche ed etiche pro e contro l’AMM.

Parole chiave. Bioetica, eutanasia, suicidio medicalmente assistito, aiuto medico a morire, cure palliative.

Medical assistance in dying: a question about which thinking in depth.

Summary. With the recent and innovative sentence n. 242/19 of the Italian Constitutional Court with regard to assisted suicide, a lively debate on the subject has restarted in Italy. It is therefore inevitable that palliative care professionals will also be involved in a reflection on the empirical, ethical, deontological and legal aspects of medical aid to die (MAD) a term that includes both medically assisted suicide and euthanasia. Hence the importance that every health professional acquires the awareness of his own ethical position on this complex and controversial topic. Analysing the Position paper of the American College of Physicians and various other international documents, an analysis is made of the main empirical and ethical arguments for and against the MAD.

Key words. Bioethics, euthanasia, physician-assisted suicide, palliative care, medical assistance in dying.

Introduzione

In data 22 novembre 2109 la Corte costituzionale ha depositato la sentenza n. 242 emessa il 25 settembre 2019 (www.sicp.it/wp-content/uploads/2019/11/Sentenza-CC-n.-242.2019.pdf)1 che, riprendendo quanto anticipato dalla Corte stessa nel comunicato stampa del 25 settembre 20192, ha individuato un’area di legittimità costituzionale nel suicidio medicalmente assistito. Infatti, la Corte ha sancito “l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della Legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.

L’attesa sentenza della Corte segue la produzione da parte del Comitato Nazionale per la Bioetica del documento “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito” (www.sicp.it/wp-content/uploads/2019/11/Sentenza-CC-n.-242.2019.pdf )3 pubblicato il 18 luglio 2019 con l’intento di incentivare la discussione pubblica sull’aiuto al suicidio e offrire una consulenza alle decisioni politiche sulla scorta dell’ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale (www.sicp.it/wp-content/uploads/2019/10/207_18_Cappato-ordinanza.pdf)4. Tale ordinanza era stata emessa in merito alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 del Codice penale sollevata dalla Corte di Assise di Milano (ordinanza 14 febbraio 2018) in merito al caso “Fabiano Antoniani (DJ Fabo) - Marco Cappato”.

Un altro importante documento che sta contribuendo ad animare il dibattito più specialistico è quello stilato da un autorevole gruppo di esperti giuristi e medici nell’ambito delle attività del gruppo di Biodiritto dell’Università di Trento intitolato “Aiuto medico a morire e diritto: per la costruzione di un dibattito pubblico plurale e consapevole” (www.sicp.it/wp-content/uploads/2019/10/2019AiutoMedicoaMorire-biolaw-j.pdf )5.

Nell’ultimo anno sono stati quindi pubblicati in Italia documenti importanti che, sull’onda di un caso giudiziario, hanno sollevato un tema importante e controverso che, peraltro, permane come un tema costantemente trattato nella letteratura scientifica internazionale che concerne il mondo delle cure palliative. Appare quindi importante intensificare anche all’interno del mondo delle cure palliative italiane una seria riflessione sulla vexata quaestio dell’aiuto medico a morire (AMM), termine con cui vengono ricompresi sia il suicidio medicalmente assistito (SMA) (“a physician intentionally helping a person to terminate his or her life by providing drugs for self-administration, at that person’s voluntary and competent request.”)6 che l’eutanasia (da intendere solo come eutanasia attiva secondo la definizione dell’EAPC: “a physician (or other person) intentionally killing a person by the administration of drugs, at that person’s voluntary and competent request”6, essendo il termine eutanasia passiva ormai abbandonato da molti anni perché senza correlazioni con la pratica clinica e foriero di pericolose confusioni con la limitazione terapeutica che, se praticata in modo eticamente corretto, non è certamente definibile come atto eutanasico6-10.

Le argomentazioni pro e contro l’aiuto medico a morire

Per avviare un serio processo di riflessione personale sulla questione dell’AMM occorre prendere in esame le argomentazioni pro e contro tale procedura. Alcuni documenti1,3-6 sono molto utili per confrontarsi con tali argomentazioni, ma è importante segnalare altri due documenti che rispondono particolarmente bene a tale scopo7,8 perché, al di là della loro posizione nettamente contraria all’AMM, costruiscono il parere finale di inammissibilità etica dell’AMM tramite un rigoroso scrutinio delle ragioni a favore e di quelle contro, concludendo che quelle a sfavore sono prevalenti e più cogenti. Nel presente editoriale verrà pertanto principalmente utilizzato come filo conduttore il documento dell’American College of Physicians (ACP)7, ma verranno utilizzati anche altre fonti per poter condurre un’analisi più estensiva della controversa questione.

I principi etici dell’etica principialista (Tabella 1)

Riguardo al principio di autonomia (che impone il rispetto delle volontà della persona malata) va subito precisato che entrambe le ottiche la concepiscono come relativa e, quindi, non assoluta sia perché vi è in essa una componente relazionale sia perché si riconosce un limite alle richieste del malato (che, infatti, non può chiedere cure clinicamente non indicate o eticamente sproporzionate o futili o contrarie alle leggi vigenti). In questa limitazione dell’autonomia si riconosce una evidente assonanza con la legge 219/1711 che, pur valorizzando fortemente l’autodeterminazione, prevede rigorosi limiti alle richieste che il malato può fare all’équipe curante sia nel consenso informato (art. 1 comma 6) che nelle disposizioni anticipate di trattamento (DAT, art. 4 comma 5).

Le posizioni a favore dell’AMM interpretano l’autodeterminazione, seppur non definibile come assoluta, come la principale ragione per giustificare l’ammissibilità dell’AMM. È interessante che, pur ammettendo la relatività (non assolutezza) del principio di autonomia e quindi concependola come soggetta a limitazioni e al carattere relazionale, ad essa venga attribuita un valore pienamente giustificativo dell’AMM per perseguire il best interest del malato. Infatti, il rispetto della scelta individuale del malato di por termine alla propria vita, scelta che è giudicata intensely private and therefore should not be proibited”, motiva la risposta di accoglimento di tale richiesta. Questo perché il carattere relativo dell’autonomia, pur imponendo un bilanciamento con altri principi (beneficialità e non maleficialità), assegna un valore preminente all’autodeterminazione rispetto agli altri due suddetti principi, poiché ciò che è bene o male per il malato non può che essere deciso dal malato stesso. Questo è avvalorato, sul piano empirico, dalla constatazione che le motivazioni prevalenti della richiesta di AMM sono correlate non tanto alla sofferenza fisica quanto alla sofferenza psico-esistenziale per perdita dell’autonomia funzionale, alla percezione individuale di perdita di dignità, all’assenza di gioia e al venir meno del significato di vivere in quelle particolari condizioni7,9. Questa perdita del controllo sulle condizioni di vita può non trovare una risposta nelle cure palliative anche perché esse sono spesso già in atto9,12.




Viceversa, chi non ammette la liceità etica dell’AMM giustifica tale posizione proprio a causa del carattere non assoluto (e, quindi, intrinsecamente relativo e relazionale) dell’autonomia; proprio perché non assoluta l’autodeterminazione non esige il rispetto di tutte le volontà espresse dal malato, in primis quella dell’AMM. Inoltre, il principio di autonomia, non essendo assoluto, va bilanciato con quello di beneficialità e non maleficialità, pena il mettere in pericolo l’alto valore della relazione di cura orientata al raggiungimento del miglior interesse (best interest) della persona malata. In tal senso i principi di beneficialità e non maleficialità fanno aggio sull’autodeterminazione, negando che il best interest del malato possa coincidere con l’induzione della morte del malato.

È interessante notare che entrambe le posizioni, partendo da un valore non assoluto del principio di autonomia e assegnando ad esso un alto valore etico e giuridico, convergono sulla piena liceità etica e giuridica del malato di rifiutare tutti i trattamenti, compresi quelli di sostegno vitale, con l’intento di non praticare trattamenti che non siano coerenti con le volontà e le preferenze del malato. Piena convergenza si registra anche sull’attribuire alla morte che consegua a tale rifiuto un carattere “naturale” per essere diretta conseguenza della malattia sottostante. Viceversa, le due posizioni divergono sull’interpretazione del best interest del malato poiché i favorevoli all’AMM concepiscono un best interest deciso dal malato che può arrivare ad includere il decidere della propria morte, mentre i contrari all’AMM escludono che il best interest deciso dal malato possa coincidere con il provocare la propria morte.

Per quanto concerne il principio di beneficialità (che impone di fare il bene del malato) i favorevoli all’AMM concepiscono come rientrante nella beneficialità il decidere anticipatamente la propria morte, purché frutto di una decisione libera e consapevole, poiché il best interest è sostanzialmente deciso dal malato, non sussistendo un best interest che gli possa essere imposto. Al contrario i contrari all’AMM concepiscono una beneficialità che sussiste a priori dall’autodeterminazione e sostanzialmente coincidente con la vita biologica; pertanto non potrà mai sussistere un best interest che includa il darsi la morte, anche qualora fosse frutto di una decisione libera e consapevole.

Analogamente la visione del principio di non maleficialità (che prescrive di non arrecare danno al malato) nell’ottica favorevole all’AMM non valuta il procurarsi la morte come un male se essa è frutto di una scelta libera e consapevole; viceversa, l’ottica contraria all’AMM considera l’AMM sempre una violazione di questo principio poiché l’atto di procurarsi la fine della vita biologica è intrinsecamente un male.

Quanto al principio di giustizia (che impone un’assenza di discriminazioni nell’accesso alle cure sanitarie e un’equa allocazione delle risorse disponibili- fairness and social justice), visto dal punto di vista della protezione dovuta alle fasce sociali deboli, è anch’esso interpretato e valutato diversamente nelle due visioni etiche. I favorevoli all’AMM affermano, infatti, che non ci siano prove che l’AMM metta in pericolo la cura delle fasce vulnerabili (grandi anziani, razze non bianche, poveri, persone che vivono in solitudine)6,7,9 e che esiste, invece, una pratica opaca di AMM clandestina che vada fatta emergere e resa trasparente e sicura grazie alla legalizzazione, anche ai fini di un suo monitoraggio.

Viceversa, gli oppositori all’AMM, pur ammettendo che le evidenze di pericolo per le fasce vulnerabili della società non siano conclusive, stigmatizzano il pericolo che si diffonda a livello sociale il concetto di «vita non degna di essere vissuta» che finisca per creare una pressione psicologica su tali fasce di fragilità psico-fisica ed economica. Inoltre, risulta difficile stimare la reale incidenza delle pratiche illegali di AMM e quindi valutare la portata di tale fenomeno. Peraltro, essi ritengono che le scarse risorse economiche vadano destinate allo sviluppo delle cure palliative e non all’AMM.

Il rapporto tra la medicina la società e l’AMM (Tabella 2)

Il dovere di alleviare la sofferenza viene ovviamente ammesso da entrambe le posizioni ma, mentre per i favorevoli dell’AMM rappresenta uno dei motivi fondamentali per ammettere la liceità etica di tale procedura, poiché se ne dà un’estesa interpretazione che la include, fra i contrari all’AMM si assegna a tale dovere una interpretazione più ristretta che esclude l’AMM.

Analogamente, anche l’obbligo di non abbandonare il malato e di confortarlo viene valorizzato da entrambe le posizioni ma viene visto in un’ottica più larga da chi è favorevole all’AMM che porta ad includere tale pratica entro il confine del non abbandono e del conforto empatico13-15, mentre viene visto con un’ottica più ristretta da chi è contrario all’AMM che tende ad escludere il procurare la morte dal confine del non abbandono e del conforto; da taluni l’AMM viene addirittura visto come un drastico abbandono dal malato alla morte senza alcun contenuto di conforto.

Molto controversa risulta l’interpretazione del­l’AMM alla luce della tradizione medica ippocratica che i favorevoli all’AMM vedono come molto poco rilevante per le mutate condizioni storiche e sociali che rendono tale tradizione superata e incapace di fondare eticamente la medicina odierna, soprattutto a fronte di bisogni emergenti come l’autodeterminazione e, per quanto riguarda l’analisi condotta in questo editoriale, le richieste di anticipazione della morte.




Per converso, gli oppositori all’AMM giudicano la tradizione ippocratica ancora molto rilevante perché incardinata su alcuni orientamenti fondamentali della medicina che devono permanere al mutare delle condizioni storiche sia sotto il profilo sociale che sanitario. La proibizione ippocratica di procurare la morte contribuisce, in questa ottica, a mantenere salda la peculiare natura del rapporto medico-malato, orientandolo al perseguimento del best interest del malato all’interno di confini che proteggono il malato da abusi di potere da parte del medico. Tali confini creano uno spazio sicuro che garantisce un rapporto fiduciario e di intimità relazionale basato su una comunicazione aperta e sincera che preserva il malato da influenze, anche inconsapevoli, del medico, soprattutto derivanti da sue inconsce paure rispetto alla morte o alla disabilità. Infine, vi sono segnalazioni di vissuti di disagio, isolamento e sacrificio da parte di medici che praticano l’AMM16,17, tali da invocare da parte di taluni l’intervento di figure non mediche ad attuare il suicidio assistito17. Posizione analoghe che tendono ad escludere il ruolo del medico nel suicidio assistito sono state recentemente assunte dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO)18.

Quanto agli scopi e obiettivi della medicina, chi è favorevole all’AMM reputa che il rimuovere tutte le sofferenze umane possibili rientri tra gli scopi e obiettivi della medicina e che, pertanto, le procedure di anticipazione della morte siano da attuare, dopo un’offerta o una pratica di cure palliative di alta qualità, quando non vi siano alternative terapeutiche praticabili. In questa ottica il controllo del tempo e modo di morte sono ormai includibili negli scopi e obiettivi della medicina e rispondono al dovere di praticare cure empatiche (compassionate care).

Al contrario, chi si oppone all’AMM ritiene che il rimuovere tutte le sofferenze umane possibili non rientri tra gli scopi e obiettivi della medicina e pertanto il controllo del tempo e del modo di morire esuli dalla medicina, mentre l’implementazione di cure palliative di alta qualità rimane un dovere etico intrinseco alla medicina. In questa prospettiva si sottolinea che i ruoli del medico come guaritore (healer) e portatore di conforto (comforter) sono i soli scopi e obiettivi della medicina, supportati dalla convinzione che le richieste di procurarsi la morte probabilmente recedano con l’attuazione di cure e supporto empatico (compassionate care). Tali cure empatiche escludono in modo assiomatico il procurare la morte della persona malata. In sintesi, si afferma che la medicina può e deve migliorare molti dei problemi della terminalità ma alcuni di questi esulano dagli scopi e dagli obiettivi della medicina e devono essere trattati in altri modi7 (anche se questi ultimi non vengono precisati).

Il medico come professionista con responsabilità morali: essere un agente morale e non un semplice fornitore di servizi non rappresenta un ostacolo per i fautori dell’AMM poiché è proprio tale caratteristica che supporta una prassi che viene ritenuta eticamente legittima sia perché compiuta in modo libero e consapevole sia perché mira a realizzazione il best interest della persona malata. Viceversa, per chi si oppone all’AMM, l’essere un agente morale impedisce di aderire alla richiesta di procurare la morte, anche su richiesta del malato, poiché tale azione non possiede una legittimità etica e trasforma il medico in mero fornitore di un servizio.

Relativamente alla percezione sociale del medico e della medicina, questa ovviamente muterebbe con la legalizzazione dell’AMM ma tale modifica viene valutata in modo diverso fra i favorevoli e i contrari. I favorevoli all’AMM reputano che sia controversa l’ipotesi che l’AMM produca un effetto negativo sulla percezione sociale del medico o, anche, che sia accettabile correre un iniziale rischio in tal senso perché vi è una parte importante, generalmente prevalente in termini di sondaggi statistici, della società che è favorevole all’AMM. Quest’ultimo dato sociologico potrebbe determinare un possibile bilanciamento fra i due effetti opposti (crisi di fiducia vs guadagno di fiducia) nei confronti del medico e della medicina.

All’opposto, coloro che si oppongono all’AMM affermano che tale legalizzazione comprometterebbe la percezione sociale del medico e della medicina creando una non recuperabile crisi di fiducia. Infatti, il ruolo del medico dovrebbe rimanere quello tradizionale del guaritore (healer) e di portatore di conforto (comforter).

Rapporto tra AMM e modello di medicina, dignità, buona morte, ruolo delle cure palliative (tabella 3)

Rispetto alla contrapposizione fra il modello paternalistico della medicina e quello dell’empowerment del malato, i fautori dell’AMM affermano che questa procedura, se attuata come scelta libera e consapevole della persona malata, realizza un empowerment del malato e sancisce un’ulteriore fuoriuscita dal superato modello paternalista. Viceversa, i contrari concepiscono l’AMM come una prassi che, lungi dal realizzare l’empowerment del malato, realizza, paradossalmente, l’empowerment del medico che diventa arbitro della possibilità di realizzarlo (verifica delle indicazioni, fornitura del farmaco letale, ecc.). Si verificherebbe insomma un indesiderato indebolimento dei diritti del malato e un rafforzamento del paternalismo medico, modello di medicina considerato vetusto anche dagli oppositori dell’AMM. È interessante notare come entrambi i fronti considerino il paternalismo un modello di medicina superato e che va pertanto abbandonato ma poi interpretano la prassi dell’AMM con effetti opposti su tale modello.

Un altro punto cruciale che differenzia le posizioni sull’AMM è la declinazione del fondamentale concetto di dignità del malato; fondamentale perché la dignità è un argomento forte che viene utilizzato da entrambe le posizioni, ovviamente con significati ed esiti opposti.

Infatti, i fautori dell’AMM sostengono con forza che decidere dei tempi e dei modi della propria morte rispetta in pieno la dignità della persona malata perché la dignità è soprattutto da intendersi come dignità di autodeterminazione e, come tale, prevale sulla dimensione intrinseca (ontologica) della persona umana.

Al contrario, coloro che si oppongono all’AMM sostengono convintamente che sia la dignità intrinseca (ontologica) della persona umana a prevalere sempre su quella autonomistica; pertanto, essendo la dignità intrinseca strettamente correlata alla vita (biologica e biografica), ogni atto che interrompe volontariamente tale vita minaccia irreparabilmente la dignità umana.




Anche il complesso rapporto tra la buona morte (dying well) e la medicalizzazione del morire viene interpretato in modo differente fra i due schieramenti poiché i favorevoli all’AMM ritengono che per rendere buono (con meno sofferenza) il processo del morire esso vada medicalizzato per quanto utile, sia potenziando le cure palliative sia permettendo l’AMM qualora queste ultime fossero rifiutate dal malato o si rivelassero insufficienti a gestire la sofferenza del malato.

Al contrario, gli oppositori all’AMM, pur sostenendo che le cure palliative siano da potenziare, giudicandole una medicalizzazione funzionale a realizzare un buon processo del morire, giudicano invece l’AMM una medicalizzazione da evitare perché priva il processo del morire della “naturalità”.

La “naturalità” del processo del morire è auspicata da entrambe le parti, ma i fautori dell’AMM la declinano nel senso di rispettare il diritto dei malati a difendersi da un eccesso di trattamenti, soprattutto se intensivi ed invasivi, anche con il ricorso all’AMM. Per gli avversari dell’AMM ciò che invece occorre realizzare nelle ultime fasi della vita è un potenziamento del caring (cure palliative rivolte alla sofferenza globale) rispetto al curing (terapie mirate ad aumentare la sopravvivenza), una umanizzazione delle istituzioni sanitarie ed un privilegiare il setting di cura domiciliare con il supporto della comunità (changing the focus from life-prolonging technology to life-enriching community). Infine, per questi l’AMM non può essere classificato come un trattamento terapeutico7.

Il ruolo delle cure palliative viene quindi valutato come cruciale in entrambe le ottiche che convergono sulla necessità di offrirle a tutti i malati che fanno richiesta di AMM e di praticarle se da loro accettate. Però le posizioni divergono su cosa fare qualora le cure palliative siano rifiutate o si rivelino insufficienti o incapaci di controllare le sofferenze del malato6,7,9. I fautori dell’AMM sottolineano, infatti, che questo può accadere perché i principali motivi di ricorso all’AMM non sono le sofferenze fisiche (generalmente ben controllate dalle cure palliative) ma quelle psico-esistenziali come la paura di perdere l’autonomia funzionale, la dignità o il senso di aver compiuto il proprio ciclo biografico (ma non quello biologico), il non voler essere di peso ai famigliari, non voler terminare la vita in residenze per anziani o con supporti delle funzioni vitali ed altre forme di distress psico-esistenziale7,9,10,12.

I contrari all’AMM credono invece che le cure palliative, soprattutto se focalizzate anche ai bisogni psicologici, sociali e spirituali, siano in grado di annullare le richieste dei malati di porre fine alla vita causate dal mancato controllo delle sofferenze psicofisiche, dal vissuto di solitudine e da sofferenze spirituali6. Inoltre, si stigmatizza che tali richieste sono instabili nel tempo e possono nascondere una richiesta di aiuto e supporto19,20. Altri ostacoli vengono individuati nella difficoltà di stimare la prognosi o di accertare la reale capacità mentale in condizioni di malattia grave e di sofferenza; anche la presenza di ansia e depressione può giocare un ruolo importante nell’influenzare indebitamente la volontà della persona richiedente l’AMM. Un altro fattore visto come problematico è la durata del rapporto tra il malato e il medico che esegue fornisce o somministra la sostanza letale poiché tale rapporto potrebbe essere molto breve e sollevare dubbi sulla sua consistenza e qualità. Per i contrari all’AMM anche qualora si verificasse un insuccesso delle cure palliative nel controllare la sofferenza, l’atteggiamento del medico dovrebbe limitarsi a continuare la ricerca condivisa di risposte alle sfide che la terminalità pone (“Physicians and patients must continue to search togheter for answers to the challenges posed by living withe serious illness before death)7. Anche la EAPC ha un atteggiamento analogo: “Palliative care is based on the view that even in a patient’s most miserable moments, sensitive communication, based on trust and partnership, can improve the situation and change views that his or her life is worth living.”6.

Il rapporto tra AMM e le relazioni del malato con la sua rete affettiva, la legalizzazione e il tipo di AMM, l’obiezione di coscienza (tabella 4)

Un altro aspetto controverso riguarda il rapporto tra AMM e le relazioni del malato con la sua rete affettiva che viene valutato diversamente nelle due visioni poiché i fautori dell’AMM, pur valorizzando il ruolo della rete di relazioni affettive che circonda il malato, ritiene che tale valore sia soprattutto assegnato dal malato stesso e, pertanto, qualora vi fossero divergenze di opinioni, le volontà e i vissuti della rete affettiva non risultano vincolanti rispetto all’autodeterminazione del malato. Inoltre, si fa presente che sia un errore presupporre che via sia costantemente una divergenza di opinioni e che la rete affettiva sia di principio contraria all’AMM; anzi si registra spesso una convergenza di opinioni e un ruolo di sostegno dei familiari alla scelta del malato10.

I contrari all’AMM sostengono, invece, che il valore della rete affettiva sia «a priori» superiore a quello assegnabile da parte del malato alla rete stessa e che pertanto faccia aggio sull’autodeterminazione del malato. Le volontà del malato devono quindi cedere il passo, e deve prevalere il rispetto, da parte del malato, degli obblighi affettivi e morali verso le relazioni di prossimità, familiari e amicali. La decisione del malato di porre fine alla propria vita viene pertanto vista come un vulnus arrecato alla comunità prossima; questo deve pertanto condurre il malato a recedere dal suo proposito.

Di conseguenza, anche il problema del danno arrecato alla rete effettiva dall’AMM viene giudicato in modo differente fra gli schieramenti: i fautori dell’AMM lo reputano assente (in caso di unanimità di opinioni fra il malato e i suoi cari) o (nel raro caso di divergenze di opinione) di entità tale da non soverchiare l’autodeterminazione del malato, mentre i contrari all’AMM che lo considerano evento grave, probabile e tale da prevalere sulla volontà del malato.




La opportunità o necessità di legalizzazione dell’AMM è uno dei punti che vede la maggiore distanza fra i fautori dell’AMM che la ritengono necessaria per prevenire o ridurre le pratiche illegali, per standardizzare le procedure attuative, renderle trasparenti e monitorarle nel tempo, e gli oppositori che la vivono come un gravissimo danno sociale da evitare di per sé e anche perché non necessariamente annulla le pratiche illegali.

Suicidio assistito o medicalmente assistito? Per i fautori dell’AMM esso deve essere, per l’appunto, medicalmente assistito al fine di assicurare la correttezza delle indicazioni, prescrizioni e somministrazioni di farmaci, per garantire il controllo degli eventi avversi, per esercitare un’azione di supporto al malato ed ai suoi cari e, infine, per redigere la certificazione di decesso.

Gli avversari dell’AMM sostengono, invece, che si deve parlare di aiuto a morire (ad es. di suicidio assistito e non di SMA) perché esso è più correttamente inquadrabile in un problema sociale e non in un problema che riguardi la medicina. La stragrande maggioranza delle società scientifiche di cure palliative6,7,21-22 afferma che l’AMM esula dagli obiettivi e dalle prassi tipiche delle cure palliative. L’ACP afferma che almeno la prescrizione e la somministrazione non devono essere a carico dei sanitari, mentre l’International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC)8, la Canadian Society of Palliative Care Physicians (CSPCP)21 e Palliative Care Australia (PCA - 2011)23 escludono anche che le cure palliative possono rivestire il ruolo di verifica dei requisiti (gatekeeper) per accedere all’AMM o di supervisione (overseeing) nella sua effettuazione. Tali ruoli dovrebbero essere assegnati ad organizzazioni da istituire ad hoc.

L’EAPC6, in sintonia con il WHO24, esclude che l’AMM possa rientrare nelle cure palliative, fondate sull’assunto definitorio che esse non prolungano né abbreviano il processo del morire, anche se il punto 14 del documento ha ricevuto un moderato accordo nel panel di esperti e non ha raggiunto un consenso unanime del board della EAPC.

L’obiezione di coscienza dei medici viene reputata necessaria e sufficiente per assicurare il pluralismo etico fra i professionisti sanitari dai fautori dell’AMM, mentre gli oppositori ritengono che essa sia necessaria ma non sufficiente per superare le obiezioni etiche a tali procedure che procurano intenzionalmente la morte.

Il rapporto tra AMM e lo slippery slope, le segnalazioni carenti, l’aspetto privato/sociale, le richieste non portate a termine, la certificazione, la distinzione con la limitazione terapeutica (tabella 5)

Il problema dello slippery slope (china o pendio scivoloso) è da sempre uno dei sotto temi più caldi nel dibattito internazionale poiché i fautori dell’AMM tendono a minimizzare il pericolo di una estensione delle indicazioni all’AMM che si potrebbe verificare con la legalizzazione della procedura, prevedendo maggiori controlli e ritenendo tale estensione comunque preferibile alle pratiche clandestine.




Al contrario gli oppositori sono profondamente convinti che il pendio scivoloso sia un trend inevitabile nel tempo con progressiva estensione dell’AMM legalizzato a categorie inizialmente non previste (minori di età, patologie psichiatriche, fragilità sociali, ecc.) senza che i controlli riescano ad arginare tale indesiderato trend.

Analogamente il problema delle segnalazioni incomplete (underreporting) dei casi di AMM è un problema dominabile attraverso maggiori controlli per i fautori, mentre gli oppositori sono convinti del contrario.

La natura dell’AMM: atto privato o atto sociale? Per i favorevoli all’AMM esso va inquadrato come un atto sostanzialmente privato facente riferimento all’autodeterminazione individuale (privacy) anche se ha un aspetto sociale poiché si avvale della medicina per poter essere attuato. Chi invece si oppone all’AMM lo classifica come un atto sociale più che privato sia perché se ne auspica la legalizzazione sia perché si richiede il coinvolgimento della medicina. Un’altra giustificazione della posizione contraria all’AMM sostiene poi che, pur riconoscendo la grande importanza dell’autodeterminazione tanto da dichiarare che esplicitamente che i malati hanno «ultimate authority over their lives»), ciononostante la medicina non deve essere coinvolta in questa procedura.

Il dato empirico riferito alla quota di malati che richiede ma poi non attua l’AMM non viene considerato problematico dai fautori dell’AMM perché la possibilità di accedere all’AMM produce un effetto tranquillizzante nei malati e questo è visto come benefico. Viceversa, il fatto che una parte di malati che ha fatto richiesta di AMM non porti poi a conclusione il proposito viene interpretato dagli oppositori dell’AMM come la dimostrazione che queste richieste vanno decodificate come richieste di aiuto e che sono fluttuanti nel tempo rivelando perciò la pericolosità della legalizzazione di tali procedure.

Sul come certificare la causa di morte le posizioni divergono poiché i favorevoli all’AMM classificano il decesso come morte naturale legata alla patologia sottostante, mentre chi si oppone all’AMM ritiene che occorra introdurre una nuova voce nosografica che faccia riferimento alla somministrazione di una o più sostanze letali. Questa differenziazione non è semplicemente di tipo amministrativo ma riflette direttamente la visione etica che si ha della procedura di AMM.

Per ciò che riguarda la distinzione tra AMM e limitazione terapeutica si registra una sostanziale convergenza delle due ottiche poiché entrambe condividono che esista una radicale differenza etica fra le procedure che provocano la morte del malato su sua richiesta e la limitazione terapeutica ossia la non applicazione di trattamenti, soprattutto di sostegno vitale, perché rifiutati dal malato o perché ritenuti sproporzionati o futili. Sia i favorevoli che i contrari all’AMM affermano la piena liceità etica della limitazione terapeutica giustificata dal fatto che essa rimuove un trattamento che impedisce alla malattia di fare il suo inevitabile corso verso la morte; pertanto l’obiettivo e intenzione sono quelli di permettere alla morte di avvenire in un modo “naturale” e non sono quelli di determinare intenzionalmente la morte. Le due ottiche divergono però perché i fautori dell’AMM considerano le due fattispecie (AMM e limitazione terapeutica), entrambe lecite pur se eticamente differenti, mentre gli oppositori dell’AMM considerano eticamente lecita solo la seconda e considerano non eticamente lecito l’AMM.

In merito a tale distinzione il Position Statement dell’ACP7 cita una terza posizione secondo cui la distinzione tra AMM e la limitazione terapeutica di mezzi di supporto delle funzioni vitali (non inizio o sospensione di trattamenti rifiutati dal malato o ritenuti sproporzionati) non sarebbe eticamente fondata in quanto l’esito finale di entrambe le fattispecie è identico e coincidente con la morte del malato, anche se per cause diverse (somministrazione di farmaci letali nell’AMM e limitazione terapeutica nel secondo caso). Questa terza posizione conclude che, essendo largamente accettata dal punto di vista etico la limitazione terapeutica, anche l’AMM deve essere considerato tale. Va segnalato che questa posizione va contro quanto tradizionalmente sostenuto da vari documenti internazionali anche nell’ambito delle cure palliative6-8,22 che sostengono invece la netta distinzione fra le due fattispecie, analogamente rispetto ai principali codici deontologici25,26 e anche rispetto alla legge 219/1711.

La terza posizione pare invece essere contemplata nella sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale1 al punto 2.3 ove recita “… Nelle ipotesi configurate nel dettaglio all’inizio di questo punto 2.3. vengono messe in discussione, d’altronde, le esigenze di tutela che negli altri casi giustificano la repressione penale dell’aiuto al suicidio. Se, infatti, il fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari – anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore) – non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale. Quanto, poi, all’esigenza di proteggere le persone più vulnerabili, è ben vero che i malati irreversibili esposti a gravi sofferenze appartengono solitamente a tale categoria di soggetti. Ma è anche agevole osservare che, se chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale è considerato dall’ordinamento in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria esistenza tramite l’interruzione di tale trattamento, non si vede la ragione per la quale la stessa persona, a determinate condizioni, non possa ugualmente decidere di concludere la propria esistenza con l’aiuto di altri”.

Rispetto ai codici deontologici si segnala che il Codice delle professioni infermieristiche26 non contempla più il divieto di partecipare ad attività finalizzate a procurare la morte del malato, mentre è recentissima la presa di posizione del Presidente della FNOMCeO che, a seguito della pubblicazione della sentenza n. 242 della Corte costituzionale, ha affermato che il Consiglio nazionale modificherà il Codice deontologico per uniformarlo al dispositivo della Corte, limitatamente ai casi previsti dalla stessa27.

Conclusioni

La disanima fin qui condotta, pur nella sua sinteticità, può consentire al lettore di considerare i pro e i contro dell’AMM, soppesando le argomentazioni soggiacenti le varie posizioni. Acquisire i dati empirici forniti dalla letteratura specifica e far sedimentare dentro di sé le argomentazioni etico-deontologiche e giuridiche è, infatti, fondamentale per chiarire a sé stessi qual è la propria posizione etica rispetto alla vexata quaestio. Ma probabilmente occorre un ulteriore sforzo di approfondimento per arrivare ad una profonda consapevolezza della propria posizione. Personalmente ritengo che tale ulteriore sforzo sia strettamente connesso al cercare di rispondere ad una semplice, anche se coinvolgente domanda: “Cosa vorrei per me se fossi in quelle condizioni?”. Usare questa domanda per esplorare più a fondo le nostre convinzioni morali non significa far prevalere l’aspetto emozionale su quello razionale; significa invece creare uno spazio interiore per “valutare sentendo sé stessi”, per giungere ad una consapevolezza che tenga conto della globalità dei vissuti, nostri, dei malati e dei familiari con cui veniamo a contatto nei percorsi di cura o nelle esperienze personali.

Per quanto concerne la posizione della SICP si può fare riferimento ai vari comunicati stampa28-30 che sono stati stilati in modo congiunto con la Federazione delle Cure Palliative (FCP), segnalando il valore della emissione congiunta da parte di SICP e di FCP come riprova dell’unitarietà di visione.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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2. Corte costituzionale. Comunicato stampa del 25 settembre 2019 “In attesa del parlamento la Consulta si pronuncia sul fine vita” (www.sicp.it/wp-content/uploads/2019/10/Comunicato-stampa-Corte-Costituzionae-25-sett-2019.pdf).

3. Comitato Nazionale per la Bioetica. Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito. il 18 luglio 2019 (www.sicp.it/wp-content/uploads/2019/11/CNB_parere-180719_SMA-1.pdf).

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27. quotidianosanità 24 novembre 2019 Sentenza suicidio assistito. Gli Ordini dei medici pronti a valutare modifiche al Codice Deontologico. (www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=79069&fr=n).

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29. Comunicato stampa SICP-FCP 4 ottobre 2019. Sentenza della Corte costituzionale su aiuto al suicidio. (www.sicp.it/informazione/comunicati/2019/10/comunicato-stampa-sicp-fcp-2/).

30. Comunicato stampa SICP-FCP 27 maggio 2019. Le Cure Palliative non sono terapie alternative o cure miracolose. (www.sicp.it/informazione/comunicati/2019/05/comunicato-stampa-sicp-fcp/).