Dalla teoria alla pratica: cosa manca alle cure palliative in Italia?

Italo Penco

Presidente SICP - Direttore sanitario, Fondazione Sanità e Ricerca

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15 novembre 2017 - il XXIV Congresso Nazionale SICP si apre con una tavola rotonda dal titolo “Luci ed Ombre della legge 38”. In quella sede si è fatto il punto sull’applicazione della legge e si sono messe in evidenza le criticità ancora non risolte.

14 dicembre 2017 - si conclude un lungo e complesso iter legislativo che ha portato ad approvare la legge sul consenso informato, sulla pianificazione anticipate e sulle DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento), un altro passo di civiltà che rafforza i diritti della persona e riporta l’attenzione su coloro che si trovano ad affrontare il fine vita [1] .

I cambiamenti degli scenari demografici impongono, non solo in Italia ma in tutto il mondo, di focalizzare l’attenzione sulle cure che vengono riservate alle persone nella fase terminale e soprattutto sulle modalità assistenziali che vengono proposte in questi servizi. 

In Italia si rileva ancora una grande disomogeneità tra le Regioni a causa delle tempistiche di recepimento regionale della legge nazionale (38/10) e successive normative a livello Stato-Regioni. Il modello assistenziale infatti, non riesce ad essere univoco nonostante la legge 38/10 abbia sancito principi chiari secondo i quali poter accedere alle cure palliative è un diritto imprescindibile del cittadino. Quando parliamo di modello assistenziale univoco non ci riferiamo certamente ad una standardizzazione dell’assistenza nel fine vita [2]  (full text), ma alla possibilità di ogni malato di usufruire delle cure più appropriate potendo contare su servizi offerti dal sistema sanitario, che siano adeguati in termini di competenza del personale, che garantiscano un approccio multidimensionale in grado di rispondere alle esigenze dei malati e dei familiari e che vengano erogati attraverso i diversi setting assistenziali previsti con una continuità di cura propria di una rete di servizi ben strutturata.

Parlare di uniformità significa quindi disporre di un modello assistenziale che risponda ai bisogni di un numero sempre maggiore di persone e che si plasmi alle esigenze sanitarie, culturali e sociali che oggi sono differenti non soltanto da un paese all’altro, ma anche all’interno di uno stesso paese.

La legge sul consenso informato, sulla pianificazione anticipate e sulle DAT, sebbene abbia sollecitato diversi dibattiti soprattutto sul fatto che agli operatori sanitari doveva essere garantito il rispetto delle loro posizioni di coscienza rispetto alle disposizioni anticipate di trattamento, rileva invece come sia importante alla fine della vita non somministrare trattamenti che mancano di indicazione medica e che possono causare danni significativi ai pazienti. Per questo aspetto il miglioramento della comunicazione medico-paziente (o, meglio, della relazione professionisti sanitari-malato), chiarendo ruoli, responsabilità e competenze, risulta essere il vero valore aggiunto per la qualità di vita del malato e costituisce un elemento imprescindibile nell’approccio assistenziale da intraprendere.

G. Borasio in un articolo del 2016 “Choosing wisely at the end of life: the crucial role of medical [3] .

Molti studi descrivono il domicilio come luogo di elezione per il fine vita, ma è possibile riuscire a sceglierlo? In Italia è sempre possibile usufruire di un servizio domiciliare per il fine vita? I dati ISTAT di mortalità per i malati oncologici mostrano una riduzione dei decessi negli ospedali a fronte di un aumento della mortalità negli hospice, ma non mettono in evidenza alcuna variazione della mortalità a domicilio, a dimostrazione di un impatto non significativo delle cure domiciliari palliative nel rispondere a bisogni dei malati. I servizi di cure palliative specialistiche domiciliari ancora non sono sufficienti a rispondere alle esigenze di una popolazione che invece mostra bisogni sempre maggiori per questo tipo di cure. 

La realtà ci dice che le Reti di cure palliative, teoricamente ben descritte nella legge 38 e nel documento dell’Intesa Stato-Regioni del 25 luglio 2012, sono ancora lontane dell’essere costituite in tutte le Regioni e soprattutto non sono ancora omogenee. In questi documenti viene esplicitata l’obbligatorietà di definire i criteri per l’accreditamento delle Reti di cure palliative e del dolore e, inoltre, il Ministro della Salute nella sua relazione programmatica per il 2018 ha messo in evidenza la necessità di incrementare la Qualità dei servizi sanitari e l’umanizzazione delle cure, ma realisticamente le possibilità che tutto ciò si realizzi facilmente lasciano al momento forti dubbi. Uno dei principali ostacoli alla realizzazione di un’omogeneità dei servizi nel territorio nazionale, in grado di soddisfare i criteri previsti dai LEA, è la possibilità di contare su risorse economiche adeguate e coerenti nelle diverse regioni. Purtroppo, nonostante la legge 38 all’art. 5 comma 3 abbia previsto una pianta organica adeguata e figure professionali competenti ed al comma 4 la definizione di un tariffario di riferimento per le attività erogate dalla rete per permettere il superamento dei LEA, il Ministero non è riuscito, a distanza di ormai otto anni, a dare una risposta per consentire il superamento di questa criticità che risulta essere fondamentale per costruire una rete assistenziale omogenea.

Sarebbe utile e auspicabile, infatti, confrontare le diversità dei modelli assistenziali e proporre ricerche per poter misurare l’efficienza di una regione rispetto ad un’altra, ma non è possibile farlo se non si riescono ad adeguare le risorse messe a disposizione dalle diverse regioni secondo il principio dell’equità, che è una dimensione fondamentale della qualità.

Bibliografia References

[3] Ralf J Jox, Andreas Schaider, Georg Marckmann, Gian Domenico Borasio “Medical futility at the end of life: the perspectives of intensive care and palliative care clinicians” Clinical ethics journal of Medical Ethics 2012