La memoria della cura

Essere e presenza oltre la soglia del ricordo

ANTONIO DI SOMMA

Dottore di ricerca in Filosofia, Pontificia Università Lateranense, Roma.

Pervenuto il 28 agosto 2024. Accettato il 2 settembre 2024

Riassunto. La memoria dell’essere umano è memoria della cura, memoria di quanto di positivo e di negativo, nel tempo della cura, si è quotidianamente e straordinariamente esperito e vissuto. Il pensare, l’agire e il produrre della cura appaiono, infatti, anche come memoria di una vita abitata e condizionata, essenzialmente e indissolubilmente, dai modi dell’aver cura. Ricordare ciò che la cura è stata per noi è ciò che ci spinge verso ogni concreto aver cura; ma, tuttavia, anche quando la cura non è venuta a manifestarsi adeguatamente nella vita, quale dimensione profondamente ontologica, esistenziale e trascendente di bene, personale e comunitaria, è possibile custodire ancora ed effettivamente tale slancio curante verso l’altro. La coscienza della cura richiama, infatti, l’essere umano ad un con-essere avente cura nella complessità di un’esistenza e di una realtà effettiva di cura, nella quale il ricordo personale può anche svanire, così come la memoria stessa della cura che si è ricevuta o che si è donata all’altro nel tempo. Ciò che vale è, allora, la presenzialità e testimonianza curante, essere ancora con l’altro ed esserlo quando il ricordo della cura che è stata svanisce nelle pieghe dell’esistenza e della vita, o ancora a causa dell’avanzare dell’età o della malattia. Nell’incontro curante rinnovato con e per l’altro, oltre la possibilità del ricordo e del ricordare, è nascosto, infatti, l’orizzonte comprensivo ed esperienziale di un senso profondamente gratuito dell’aver cura, di un aver cura dell’altro orientato dall’amore e la cui memoria è manifestazione della verità essenzialmente comunionale della cura.

Parole chiave. Cura, essere, memoria, presenza, tempo.

The memory of care. Being and presence beyond the threshold of remembrance

Summary. The memory of the human being is the memory of care, the memory of what has been positively and negatively experienced and lived, both daily and extraordinarily, in the time of care. Thinking, acting, and producing care also appear as the memory of a life essentially and indissolubly inhabited and conditioned by the ways of caring. Remembering what care has been for us is what drives us towards every concrete act of care; however, even when care has not adequately manifested in life as a deeply ontological, existential, and transcendent dimension of good, both personal and communal, it is still possible to effectively and genuinely maintain this caring impulse towards others. The consciousness of care, in fact, calls the human being to a being-with that cares within the complexity of an existence and an actual reality of care, in which personal remembrance may also fade, just as the memory of the care received or given to others over time may fade. What matters, then, is the presence and testimony of care, being still with the other and being so when the remembrance of the care that has been fades into the folds of existence and life, or with the advancing of age or illness. In the renewed caring encounter with the other, beyond the possibility of remembrance and remembering, lies the comprehensive horizon of a deeply gratuitous sense of caring, of a care for the other oriented by love, whose memory is a manifestation of the essentially communal truth of care.

Key words. Care, being, memory, presence, time.

Memoria e ricordo

La memoria dell’essere umano è memoria della cura, memoria di quanto di positivo e di negativo, nel tempo della cura, si è quotidianamente e straordinariamente esperito e vissuto. Il pensare, l’agire e il produrre della cura appaiono, infatti, anche come memoria di una vita abitata e condizionata, essenzialmente e indissolubilmente, dai modi dell’aver cura. Ricordare ciò che la cura è stata per noi è ciò che ci spinge verso ogni concreto aver cura; ma, tuttavia, anche quando la cura non è venuta a manifestarsi adeguatamente nella vita, quale dimensione profondamente ontologica, esistenziale e trascendente di bene, al contempo personale e comunitaria, è possibile custodire ancora ed effettivamente tale slancio curante verso l’altro. Ciò significa che l’essere umano vivente, in quanto essere curante necessitante a sua volta di ricevere cura, esiste e viene a piena realizzazione nell’apertura dell’orizzonte dell’aver cura dell’altro, un orizzonte la cui soglia è memoria che si fa presente come pensare e agire avente cura. Il ricordo correlato ai pensieri, all’agire e ai modi del produrre della cura, diviene, allora, memoria che rischiara il proprio essere insieme con e per gli altri, proprio come la fiamma di una candela che, consumando ciò che è, illumina lo spazio e il tempo dell’esistenza e della vita. Aver cura dell’altro è, allora, anche rammemorare e ricordare l’importanza della cura, e cioè continuare ad aver cura di quel pensare, agire e produrre, capaci di custodire l’essere, di custodire ciò che l’essere umano personale è, oltre la soglia del ricordo di ciò che è stato.

Memoria e tempo

La memoria della cura è, dunque, viva nel presente dell’agire curante e nella tensione temporale fra il passato, in cui la cura è venuta ad essere, e l’avvenire, verso cui la cura è protesa; una tensione che dilata il ricordo e lo fa presenza in un avvenire concreto, inverato e reale. La coscienza della cura richiama, infatti, l’essere umano ad un con-essere curante nella complessità di un’esistenza e di una realtà effettiva di cura, nella quale il ricordo personale può anche svanire, così come la memoria stessa della cura che si è ricevuta e che si è donata all’altro nel tempo. Ciò che vale è, allora, la presenzialità e testimonianza curante, essere ancora con l’altro ed esserlo quando il ricordo della cura che è stata svanisce nelle pieghe dell’esistenza e della vita, o ancora dell’avanzare dell’età o della malattia. Coloro che non possono più ricordare possono, tuttavia, custodire impercettibilmente memoria interiore infinita di ciò che si è ricevuto nella quotidianità di un aver cura che travalica spazio e tempo, e la sua comprensione, una memoria profonda, capace di riunificare e di riconciliare, nell’effettività della cura, il passato, il presente e l’avvenire di un’esistenza che non smette la propria dignità. Al contempo, lo stesso agente curante è richiamato a non stancarsi o addirittura scoraggiarsi dinnanzi allo scomparire del ricordo del proprio agire effettivo e spesso anche affettivo nei confronti dell’altro, un essere insieme con l’altro e per l’altro nel tempo della sofferenza che va oltre ogni forma gratitudine, aspettativa, ringraziamento o riconoscenza, un essere presente oltre la soglia di ogni attesa e ricordo.

Memoria e incontro

La memoria della cura è, infatti, custodita in un incontro che oltrepassa il senso personale del ricordo, nell’istante effettivo e curante in cui vengono a riconciliarsi passato, presente e avvenire; un istante chiamato ad essere nel tempo, a partire dalla radice ontologica della cura e della responsabilità che abita lo stesso sorgere del pensiero, dell’agire e dei modi dell’aver cura. Anche ciò che non potrà essere più ricordato è, infatti, vissuto e scaturigine di nuova esistenza, di un essere in relazione capace, anche, di rimodularsi e rimodellarsi nelle pieghe della vita e della cura. Nello sguardo dell’altro di cui si ha autenticamente cura, allora, è il senso del tempo della cura, oltre ogni possibilità di ricordo o riconoscimento, di una presenza gratuita che è reale e concreta e che oltrepassa ciò che è stato per ciò che è e che potrà essere. Nell’incontro curante rinnovato con l’altro, oltre la possibilità del suo ricordo e del ricordare, è nascosto, allora, l’orizzonte comprensivo di un senso profondamente gratuito dell’aver cura, di un aver cura dell’altro che è caro e la cui gratitudine è espressa nella verità essenzialmente comunionale della cura. Un agire autenticamente curante è, allora, in qualche senso inscindibilmente ed essenzialmente abitato dalla gratuità di un pensare, un agire e un produrre che è specchio non solo di ciò che è stato, ma anche e soprattutto di ciò che è adesso e di quello che potrà essere in avvenire. Se ciò che scompare è, così, il ricordo della cura, insieme effettiva e affettiva, che si è ricevuta o profusa nel tempo e nel corso degli anni, la sua memoria, personale e comunitaria, tuttavia, permane e si invera nel suo rinnovarsi concreto e quotidiano, nella propria essenza gratuita e slegata da ogni forma di riconoscimento. Ciò che è, infatti, gratuito nella cura, è anche senza prezzo e, oltremodo, senza misura.

Memoria e senso

Il senso della memoria della cura è, così, custodito nell’essere insieme con e per l’altro, o anche, talvolta, soltanto accanto all’altro, nei tempi della malattia che spesso oltrepassano con forza e svincolano la vita dai tempi di una quotidianità in-curante, verso giorni e veglie senza fine e, forse, senza ricordo; ma, tuttavia, viventi nella memoria di ogni pensiero e agire rinnovato della cura. L’aver memoria della cura è, infatti, un modo d’essere autentico e vero della cura, un modo di essere e, dunque, di fare, essenzialmente slegato da ogni attesa di riconoscimento e gratitudine e, al contempo, nella gratuità del pensare e agire curante, in sé stesso ogni giorno e in ogni istante rinnovato. Nel rinnovarsi quotidiano del pensare, dell’agire e dei modi concreti dell’aver cura dell’altro, personale e comunitario, anche quando tale esserci non può venire ad essere più riconosciuto o ricordato, è, infatti, l’autentica persistenza di una memoria di cura indissolubile rispetto alla presenzialità del con-essere curante che si fa prossimo e che fa memoria nel presente del proprio agire. Una tensione che fa memoria di ciò che è stato, ma la rinnova alla luce della presenza dell’altro, una presenza capace di rinnovare nel tempo, sia a livello personale che comunitario, anche i modi del prendersi cura e dell’aver cura. Se è il ricordo della cura, ricevuta o profusa, che scompare, la memoria della cura è inscritta, invece, nell’essere stesso della persona, in uno spazio-tempo di cura essenziale, oltre la soglia del ricordo e della possibilità del ricordare. Essa permane nell’essenza stessa del pensare e dell’agire della cura, e, di fatto, nella possibilità di riceverla, in una presa in carico esperienziale dell’altro, di cui si ha ancora cura nel tempo e oltre il tempo di un esserci quotidiano che costantemente e, talvolta, anche solo impercettibilmente, si muta e si trasforma.

Memoria e presenza

La memoria della cura è, dunque, custodita nella perseveranza stessa dell’aver cura con e per l’altro e, al contempo, al di là di essa, nell’essenza dell’esistenza curante dell’essere umano vivente, necessitante, a sua volta, di ricevere una cura autentica e concretamente inverata nel tempo. Essa riposa nel fondo dell’essere e della coscienza e di là muove il senso stesso della cura, il tempo e la quotidianità dell’aver cura, verso ciò che è valore essenziale e autenticamente tendente al bene. La memoria della cura, come custode di una tensione infinita di bene, abita, infatti, la realtà quotidiana dell’aver cura dell’altro, trasformando la percezione del senso della cura. Essere presente accanto all’altro di cui si ha cura, nel tempo della malattia e dell’avanzare di essa, è, allora, autentica memoria, poiché fa presente ciò che l’essere umano ha da essere; e, allo stesso modo, permette che la cura si faccia autentica presenza memoriale e testimoniale. Oltre il ricordo della cura vi è, infatti, la realtà stessa della cura e una concretezza inverata che si fa memoria indelebile, memoria ineludibile capace di trasformare, ogni giorno, i modi dell’aver cura, di ritrovare, anche nella ripetizione senza fine dei gesti della cura, il senso di un essere effettivamente e affettivamente con l’altro, una cura oltre la soglia del ricordo. La cura trasforma, infatti, il ricordo stesso che della cura si conserva e lo fa sempre nuovo, riconciliando quotidianamente passato e avvenire della cura, in un presente che rinnova e trasforma la memoria stessa della cura e la percezione che, di essa, l’essere umano ha e custodisce.

Memoria e gratuità

La memoria della cura si configura, così, essenzialmente come presenza concreta, personale e comunitaria, perseverante e testimoniale, una presenza generativa, anche rispetto all’incontro con l’altro nella relazione fondativa, originaria e dinamica della cura, e cioè nei confronti di un essere concreto insieme con l’altro e per l’altro. La memoria della cura si estende, infatti, oltre la possibilità stessa del ricordo e del ricordare, custodita nella dimensione ontologica, esistenziale e insieme, infine, anche trascendente della cura, a partire dall’amore che muove, nel profondo, ogni autentico pensare e agire dell’aver cura. L’essenza della cura, in quanto sorgente e scaturigine originaria gratuita di amore con e per l’altro, è, in tal senso, radice della memoria e all’origine dell’incontro concreto dell’aver cura, un’essenza che, nella speranza di bene, può far memoria di ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà: un’essenzialità trasformativa e riconciliante il tempo e i modi stessi in cui la cura è venuta a concretizzarsi, quotidianamente e straordinariamente, nel tempo della vita e dell’esistenza. La cura è, infatti, essenzialmente e fondamentalmente gratuita nella sua originaria scaturigine, svincolata, infine, da qualsivoglia forma e modo di ricordo e di riconoscimento; e, tuttavia, essa è presentita anche come dovere incessante, quotidianamente, proprio da chi ha e dona cura concreta e costante all’altro, una cura nella sua essenza gratuita e grata per il fatto stesso di essere. L’essere della cura rivela, allora, la gratuità della prossimità personale e comunitaria propria dell’aver cura costante e autentico e, insieme, la possibilità di rinverdire e attuare, quotidianamente, la memoria dell’aver cura; ovvero di ritrovare nell’essere presente accanto all’altro, nel tempo della vita e, ancor di più, in quello del progredire della malattia, una memoria infinita di bene, capace di custodire e riconciliare il tempo della cura e della vita, al di là e oltre il ricordo che della cura verrà trattenuto e mantenuto. Nel custodire la realtà profondamente personale e comunionale dell’essere presente accanto all’altro, nel tempo della malattia e della sofferenza, al di là del ricordo e di ogni forma di possibile gratitudine o riconoscimento, è la memoria e la gratuità della cura, una dimensione inverata che è lo specchio e la vita dell’essere insieme.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia di riferimento

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2. Frankl VE. Homo patiens. Brescia: Queriniana, 2021.

3. Heidegger M. Essere e tempo. Milano: Longanesi, 2010.

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9. Minkowski E. Il tempo vissuto. Torino: Einaudi, 2004.

10. Ricoeur P. La memoria, la storia, l’oblio. Milano: R. Cortina, 2003.

11. Scheler M. Il dolore, la morte, l’immortalità. Torino: Elledici, 1983.

12. Spaemann R. Persone. Roma-Bari: Laterza, 2005.