Intangibilità del corpo e dovere di custodia del detenuto in sciopero della fame

Note critiche a margine della presa di posizione del Comitato nazionale per la bioetica sul caso di Alfredo Cospito

FABIO CEMBRANI

Medico legale, Università degli Studi di Verona

Pervenuto il 14 novembre 2023. Accettato il 21 novembre 2023.

Riassunto. L’autore discute la risposta data al Ministro della Giustizia italiano dal Comitato nazionale per la Bioetica (CNB) sul caso dell’anarchico insurrezionalista Alfredo Cospito avente per oggetto la libertà del detenuto di proseguire la sua protesta con lo sciopero della fame perché sottoposto al regime carcerario speciale previsto dall’art. 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Pur a fronte di un documento conclusivo approvato all’unanimità dal CNB, l’autore riassume le diverse posizioni emerse al suo interno durante la discussione e critica l’opinione di maggioranza secondo la quale le DAT formalizzate da Alfredo Cospito perderebbero il loro effetto giuridico nel caso di imminente pericolo di vita del detenuto laddove non si fosse più in grado di riaccertare l’attualità del suo rifiuto di non essere idratato e nutrito per via enterale: tesi, questa, di cui sottolinea l’evidentissima e strumentale forzatura perché la Legge n. 219 del 2017 indica, in maniera molto precisa, le situazioni in cui le DAT perdono il loro effetto giuridico (art. 4, comma 5) che non sono certo quelle del detenuto in sciopero della fame.

Parole chiave. Comitato nazionale per la Bioetica (CNB), sciopero della fame, libertà di pensiero, disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Intangibility of the body and duty of custody of the prisoner on hunger strike: first critical notes on the sidelines of the position taken by the National Bioethics Committee (CNB) on the case of Alfredo Cospito.

Summary. The author discusses the response given to the Italian Minister of Justice by the National committee for bioethics (CNB) on the case of anarchist insurrectionist Alfredo Cospito having to do with the detainee’s freedom to continue his protest by hunger strike because he is subjected to the special prison regime provided for in Article 41-bis of the Prison Order Law. Despite a concluding document unanimously approved by the CNB, the author summarizes the different positions that emerged within it during the discussion and criticizes the majority opinion according to which the DAT formalized by Alfredo Cospito would lose their legal effect in the case of imminent danger to the prisoner’s life where it was no longer possible to re-establish the actuality of his refusal not to be hydrated and enterally fed: a thesis, this one, of which he stresses the very obvious and pretextual forcing because Law no. 219 of 2017 indicates, in a very precise way, the situations in which DATs lose their legal effect (Art. 4, paragraph 5), which are certainly not those of the prisoner on hunger strike.

Key words. National committee for bioethics (CNB), hunger strike, freedom of thought, advance directive for treatment (DAT).

Libertà e responsabilità, autonomia e beneficialità, intangibilità del corpo e diritto alla protezione della vita

Libertà e responsabilità, autonomia e beneficialità, intangibilità del corpo e protezione del diritto alla vita sono le opposte polarità di un evidente antagonismo1 i cui contrappesi non sono facilmente bilanciabili anche se l’impresa si risolve, di regola, a vantaggio dell’auto-determinazione individuale considerata come condizione stessa per l’esercizio di tutti gli altri diritti e libertà inviolabili2. Ciò avviene in tutti i campi della vita sociale, anche in quello della cura dove si confrontano, in condizioni davvero particolari, autonomie, libertà, doveri e responsabilità del tutto diverse, di non agevole composizione ed in equilibrio spesso precario sia in quei modelli che valorizzano l’individualità della persona (e la sua auto-determinazione) sia in quelli che la circoscrivono facendo leva sulla posizione di garanzia ricoperta dal medico3,4 e sul dovere dello Stato di proteggere il diritto alla vita come previsto dall’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

Sugli effetti di questa contrapposizione occorre tornare a riflettere senza trascurare le obiezioni di chi ha denunciato i paradossi del paternalismo della cura5-9 ricordando, tuttavia, che anche la tirannia dei valori10 costruita sul mito dell’autonomia razionale11 nasconde pari pericoli ed altrettante insidie che indeboliscono il ruolo affidato al medico e la stessa alleanza fondante la cura. Proverò qui a farlo affrontando i contenuti della risposta del 6 marzo 2023 con la quale il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha riscontrato i quesiti formulati dal Ministro della Giustizia. Lo farò sintetizzando le diverse opinioni emerse all’interno del CNB per poi dare un giudizio su quella espressa dalla componente di maggioranza del Comitato stesso.

Il caso dell’anarchico italiano Alfredo Cospito

L’antefatto è il caso del 55enne (all’epoca) Alfredo Cospito, un anarchico insurrezionalista italiano detenuto da molti anni per aver gambizzato nel 2012 l’amministratore delegato di ‘Ansaldo Nucleare’, sottoposto, dal maggio del 2022, al regime della carcerazione dura previsto dall’41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, il quale, per protesta, ha deciso, per alcuni mesi, di ricorrere allo sciopero della fame continuando però ad assumere acqua, zucchero e sali. A causa di ciò le sue condizioni di salute sono progressivamente peggiorate con una perdita di peso di oltre 45 Kg anche se le sue ripetute istanze di revoca del provvedimento cautelare vennero respinte prima dal Ministro della Giustizia, poi dal Tribunale di Sorveglianza e, da ultimo, anche dalla Corte di cassazione. Avvalendosi di quanto previsto dalla Legge n. 219 del 2017 risulta che il detenuto abbia anche redatto per iscritto, in carcere, la sua volontà anticipata di trattamento (DAT) chiedendo, in maniera chiara e del tutto esplicita, di non essere alimentato in maniera forzata nel caso di perdita della conoscenza. Dopo 6 mesi lo sciopero della fame è stato poi dallo stesso interrotto avendo il Giudice delle leggi ritenuto illegittima quella previsione della legge penale che vieta al giudice di considerare le eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva nell’ipotesi in cui il reato commesso venga punito con la pena edittale dell’ergastolo (Corte cost., sent. n. 94/2023).

Per ragioni diverse, la vicenda umana di Alfredo Cospito è stata amplificata dai riflettori della cronaca, fors’anche a causa della sua strumentalizzazione politica innescata dalla violentissima bagarre avvenuta in Parlamento in seguito al j’accuse di un deputato del partito di maggioranza (Fratelli d’Italia) quando sarebbe stato opportuno affrontarla con la prudenza ed il rigore necessari; così da non rinforzare gli schiamazzi provenienti dalle opposte tifoserie che, se da un lato si sono appellate al rispetto del principio di auto-determinazione (e di intangibilità del corpo), dall’altro ritenevano non accoglibile l’idea che le istituzioni dello Stato potessero restare inerti e cedere alle minacce di chi protesta con l’obiettivo di disinnescare la severità delle misure cautelari.

In questo clima generale è da collocare la lettera che, il 6 febbraio 2023, il capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia ha inviato al Presidente del CNB chiedendo un parere in ordine ai quesiti in essa contenuti senza mai fare riferimento al caso di Alfredo Cospito pur essendo evidente che proprio la sua vicenda era quella di cui si discuteva. Nella sua premessa si richiama la Legge n. 219 del 2017, l’auto-determinazione del paziente ed il principio del consenso libero, consapevole ed esente da condizionamenti esterni prima di circoscrivere la questione principale; indicata, dal redattore della lettera, in quelle situazioni in cui la rinuncia al trattamento sanitario salvavita è “subordinata al conseguimento di finalità estranee alla situazione clinica personale, come ad esempio l’ottenimento di un bene in discussione, sia esso materiale o immateriale (es.: rifiuto di alimentazione artificiale al fine dell’ottenimento di una casa contesa, rifiuto di alimentazione artificiale al fine dell’ottenimento di un regime di libertà dalla detenzione carceraria)”. A quelle situazioni, cioè, in cui “il rifiuto/rinuncia sarebbe finalizzato non già all’auto-determinazione mediante l’esercizio della libertà di cura […] ma piuttosto all’ottenimento di un bene, materiale o immateriale, ovvero finalizzato a una modifica di condizione personale in relazione a un contesto estraneo a quello sanitario”. È quest’ultima situazione che, secondo l’interrogante, solleverebbe questi interrogativi di etica clinica: 1) il rifiuto o la rinuncia ai trattamenti sanitari possono essere considerati una scelta libera se la loro finalità non è la libertà di cura e, in questi casi, le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) conservano o meno la loro validità giuridica?; 2) in una condizione di limitazione della libertà personale è eticamente accettabile che le istituzioni carcerarie consentano a chi mette in atto questi comportamenti di lasciarsi morire?; 3) esistono limiti e peculiarità nell’applicazione della Legge n. 219 relativamente alle persone in regime di detenzione carceraria?; 4) in questa particolarissima situazione l’aiuto al suicidio, come depenalizzato dalla Corte costituzionale (sent. n. 242 del 2019), riconosce peculiarità e ulteriori vincoli di prudenza e controllo esterno?

La presa di posizione ad unanimità di vedute del CNB come tentativo di sanare le diverse opinioni interne espresse dai suoi componenti

A questi interrogativi il CNB ha risposto con un documento approvato il 6 marzo 2023 nel quale, fatta una breve premessa iniziale, sono contenute 10 ‘Riflessioni condivise’ approvate all’unanimità dai suoi 33 componenti con la precisazione che esse rappresentano la premessa delle diverse posizioni emerse in fase di discussione: una prima (A), approvata dalla maggioranza (da 19 componenti), che nega la validità delle DAT quando esse sono subordinate “all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui” e che, di conseguenza, legittimerebbe il medico a poterle disattenderle; una seconda (B), approvata da 9 componenti e a cui hanno aderito i delegati della FNOMCeO, della FNOPI e dell’Istituto superiore di sanità, con la quale, al contrario, si è affermata l’inesistenza di “motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della legge n. 219 del 2017 […] nei confronti della persona detenuta […] anche se questa ha intrapreso lo sciopero della fame”; una terza (C) a cui hanno aderito 2 componenti del CNB che hanno sottolineato l’esigenza di interpellare il Parlamento per l’approvazione di una disciplina specifica, come avvenuto in Francia e in Germania; ed una quarta (D) delineata, infine, dal voto dei 3 componenti del CNB che si sono astenuti dall’esprimere il loro parere pur senza motivare la loro scelta.

Dunque, una eterogeneità di posizioni che conferma la presenza, all’interno del CNB, di sensibilità etiche profondamente diverse: tra chi, in particolare, pur avendo condiviso l’inesistenza di motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentono la non applicazione della Legge n. 219 nei riguardi dei detenuti, ritiene che il medico, nel caso di imminente pericolo per la vita del detenuto stesso, quando non si è nelle condizioni di accertare ulteriormente la sua volontà, “[…] non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi a salvargli la vita” potendo così del tutto legittimamente disattendere le DAT “in quanto indebitamente condizionate e, dunque, palesemente incongrue (art. 4, comma 5, Legge n. 219/2017)”; e chi, al contrario, sia pur in posizione minoritaria, ha espresso un parere opposto ritenendo che il “diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà […] costituisce un principio costituzionale fondamentale del nostro ordinamento”; e chi, infine, in posizione ancor più minoritaria, ha indicato la necessità dell’interposizione legislativa così da dirimere definitivamente le “divergenze interpretative che appaiono insormontabili” salvaguardando, in primo luogo, i “medici e […] tutti coloro che sono chiamati a prendere decisioni tanto difficili in questo tipo di circostanze”.

Sulla scelta del CNB che ha deciso di entrare nel merito degli interrogativi del Guardasigilli

La risposta del CNB agli interrogativi posti dal capo di Gabinetto del Guardasigilli non è, a mio parere, un buon esempio di come si dovrebbero affrontare i dilemmi bioetici riguardo ad una questione sulla quale non era ragionevole rimettere tutto in gioco rimescolando nuovamente le carte nonostante le chiare indicazioni dettate dal Codice di deontologia medica, le altrettanto chiare raccomandazioni provenienti dal dibattito italiano12-18 e le recentissime prese di posizione assunte a livello internazionalea pur anche ammettendo che, proprio riguardo ai detenuti in sciopero della fame, le decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo non sempre sono state lineari e tra loro coerentib.

L’impressione non positiva si ricava, fin da subito, nel leggere che il CNB si è preliminarmente interrogato “sulla possibilità di rispondere a quesiti per i quali è evidente il collegamento a una vicenda personale chiaramente riconoscibile, per quanto non esplicitamente menzionata” e nel prendere atto della risposta che il Comitato medesimo si è dato osservando di non poterlo fare alla luce di quanto previsto dall’art. 6, comma 4, del Regolamento ove si esclude che il Comitato “possa dare risposte a quesiti riferiti a casi personali”. Ciò nonostante, il CNB ha deciso di dare una risposta agli interrogativi posti dal capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia, pur sottolineando il “carattere generale” della risposta che non può assumere il valore di un “un parere giuridico in senso stretto”. Quasi a mettere le mani davanti per difendersi dal pur sempre possibile contenzioso. Perché delle due l’una: o c’era la competenza di dare una risposta all’interrogante, a tutti gli effetti valida, non essendo possibile separare il piano della riflessione bioetica dalle sue ricadute giuridiche ed allora il CNB avrebbe dovuto onorare al meglio e fino in fondo il suo ruolo istituzionale). O questa competenza non c’era rientrando la stessa nella sfera di responsabilità pubblica del Comitato etico territoriale, con la conseguenza che di ciò occorreva darne formalmente atto. L’ambiguità è evidente ma non è l’unica perché il CNB, pur ammettendo che il detenuto capace di intendere e di volere può legittimamente avvalersi della possibilità di redigere la DAT, non entra poi nel merito della questione principale indicando ciò che il medico deve doverosamente fare “nel momento in cui il detenuto in sciopero della fame dovesse perdere conoscenza o sopravvenire un imminente pericolo di vita senza poter esprimere decisioni consapevoli” (punto 10 delle ‘Riflessioni condivise’). La scelta del CNB è stata così quella di non prendere una chiara posizione indicando la strada maestra sulla quale l’istituzione carceraria ed i professionisti che in essa lavorano dovrebbero responsabilmente incamminarsi in queste situazioni, senza temere le conseguenze giuridiche delle loro scelte.

Nell’affrontare la risposta al primo interrogativo, il CNB, richiamandosi alla sentenza n. 26 del 1999 della Corte costituzionale, sottolinea che lo stato di detenzione mai può essere una condizione che annulla “i diritti inviolabili dell’uomo, il riconoscimento e la garanzia dei quali l’art. 2 della Costituzione pone tra i principi fondamentali dell’ordine giuridico” e che i detenuti, essendo, a tutti gli effetti, persone capaci di intendere e di volere, “possono, quindi, auto-determinarsi in tale sfera” (punto 5). Con un’ovvia conseguenza perché “qualsiasi detenuto può non solo esprimere assenso o dissenso ai trattamenti diagnostici o sanitari che lo riguardano ma può anche, in previsione di una futura eventuale incapacità di auto-determinarsi, efficacemente redigere le DAT, ai sensi dell’art. 4 della Legge n. 219/2017”. Con l’altrettanto ovvia conseguenza che, anche in regime di detenzione carceraria, non esistono “limiti e peculiarità, dal punto di vista etico, nell’applicazione della Legge 219/2017” (punto 6 delle Riflessioni conclusive) pur ammettendo “che chi adotta questa forma di protesta si trova in una situazione differente da quella del malato che rinuncia a terapie salvavita” (punto 9 delle medesime Riflessioni). Chi decide di ricorrere allo sciopero della fame sceglierebbe, infatti, di mettere in gioco la vita “come modo per indurre un esito, senza usare violenza su alcuno”: una forma di “protesta rischiosa, in cui la morte non è il fine ricercato per se stesso, ma è solo una conseguenza possibile, eventualmente accettata”. Questa forma di protesta, secondo il CNB, rientrerebbe così “nel contesto del diritto della persona a manifestare liberamente il proprio pensiero con lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione, secondo il dettato dell’art. 21 della Costituzione […] a difesa di ideali, diritti, valori e libertà”. Esso sarebbe così “un modo, sia pure estremo, di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su situazioni ritenute ingiuste o sui diritti che si desidera rivendicare” esprimendo “una libertà morale del soggetto, che rappresenta quel residuo tanto più prezioso, in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale” (Corte costituzionale, sent. n. 349 del 1993)”: una libertà, questa, che deve essere “sempre pienamente rispettata, in particolare quando provenga da un soggetto che, fortemente limitato dal regime di detenzione cui è sottoposto, individui nello sciopero della fame, in mancanza di altri mezzi, una forma estrema di comunicazione, mettendo anche a rischio la propria vita”. Il rispetto di questa libertà ha, a giudizio del CNB, un’evidente ricaduta: quella “che lo Stato non ha il diritto di limitare con misure coercitive lo sciopero della fame, che costituisce, come si è detto, un segno dell’incomprimibile libertà di ogni essere umano” non essendo così “ammissibili trattamenti diretti a favorire il benessere fisico del detenuto che si traducano in costrizioni violente” (punto 8 delle Riflessioni conclusive). Pur con la doverosa e condivisibile precisazione che a chi ha scelto di protestare con lo sciopero della fame deve essere garantita, con il suo consenso, “l’assistenza appropriata e le terapie idonee a curare gli scompensi organici e le patologie che dovessero insorgere” (punto 10 delle Riflessioni conclusive) anche se il CNB non si è poi espresso sulla questione più complessa, ovverosia su “ciò che è doveroso fare nel momento in cui un detenuto in sciopero della fame dovesse perdere conoscenza o sopravvenisse un imminente pericolo di vita senza poter esprimere decisioni consapevoli” anche se sappiamo che è proprio su questa spinosa questione che non si è trovata unanimità all’interno del CNB. Nonostante l’idea espressa in forma maggioritaria sia stata quella che “rifiuto e rinuncia di trattamenti sanitari, così come delineati dalla legge n. 219/2017, anche in forma di DAT, hanno una ratio radicalmente differente rispetto a quella che si pone per una persona che li rifiuta nel corso di uno sciopero della fame” con la conseguenza “che il medico non è esonerato, nel caso di imminente pericolo di vita e quando il detenuto non sia in grado di esprimere la sua volontà, dal porre in essere tutti gli interventi atti a salvare la vita”.

I pregiudizi e i bias interpretativi di una presa di posizione del CNB che delude e non convince

La presa di posizione del rinnovato CNB in risposta all’interpello del capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia non mi sembra essere un buon esempio del come si dovrebbe dare una risposta ragionevole ed esaustiva alle questioni complesse che si incontrano nella pratica clinica. È possibile che l’urgenza della risposta sia stata un fattore negativo che ha probabilmente condizionato in negativo la coerenza dello sviluppo argomentativo anche se l’occasione era propizia per esplorare tutti i profili della vicenda umana di Alfredo Cospito e per reimpostare, in chiave moderna, qualche (discutibile) contenuto della Legge 22 dicembre 2017, n. 219: tra tutti, il dogma della soggettività giuridica con il suo presunto binarismo capacità/incapacità perché avulsi dai presupposti teorici del capability approach e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) adottata a New York nel 2006, pienamente ratificata anche dall’Italia.

Purtroppo non lo si è fatto ed il CNB si è così, un’altra volta, pigramente adagiato sulla categoria giuridica della capacità di intendere e di volere senza cogliere i ripetuti suggerimenti espressi dalla Corte costituzionale (ord. n. 207/2018 e sent. n. 242/2019), così da dare una forma ed un volto non equivoco alla capacità di prendere una decisione libera e consapevole nel campo della cura. Soprattutto di quella delle persone più fragili e vulnerabili in cui è di tutta evidenza la debolezza costitutiva dell’assunto cartesiano, come riconosciuto dal Giudice delle leggi nella sentenza che ha rigettato l’ammissibilità costituzionale del referendum popolare abrogativo per la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente avendo i supremi Giudici ammesso che “le situazioni di vulnerabilità e debolezza […] non si esauriscono, in ogni caso, nella sola minore età, infermità di mente e deficienza psichica, potendo connettersi a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici); senza considerare che l’esigenza di tutela della vita umana contro la collaborazione da parte di terzi a scelte autodistruttive del titolare del diritto, che possono risultare, comunque sia, non adeguatamente ponderate, va oltre la stessa categoria dei soggetti vulnerabili” (Corte costituzionale, sent. n. 50 del 2022). Auspicabile sarebbe stato entrare nel merito di questa delicatissima questione avendoci la pandemia insegnato quanto il rifiuto vaccinale possa essere interferito dalla suggestione, dal pregiudizio, dai condizionamenti ambientali e dalla manipolazione esterna.

Un’occasione, purtroppo, sprecata a cui si associano incomprensibili silenzi e grossolani bias interpretativi.

I primi sono confermati dai quesiti lasciati irrisolti dal CNB anche se affrontati, in maniera parziale, all’interno delle diverse posizioni emerse durante la discussione; al quarto quesito posto dall’ufficio del Guardasigilli non si è, infatti, voluto dare una risposta nonostante la componente maggioritaria del CNB si sia appellata al fatto che la “sentenza della Corte costituzionale n. 242 non ha introdotto alcun diritto a ottenere l’assistenza al suicidio da parte delle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale”.

Ancor più evidenti i corto-circuiti interpretativi perché, pur avendo ammesso il CNB che il detenuto in sciopero della fame può “efficacemente redigere le DAT ai sensi dell’art. 4 della Legge n. 219/2017”, non si capisce perché poi la sua volontà anticipata formalizzata nel rispetto delle procedure previste dalla legge stessa, nel caso di imminente pericolo per la vita, diventi improvvisamente invalida al punto tale da legittimare il medico ad intervenire con le terapie salvavita espressamente rifiutate dal diretto interessato. Il non-senso di questa ambigua contraddizione è, purtroppo, di tutta evidenza anche perché formulato sulla base di una premessa insufficiente essendosi il CNB limitato ad affermare che lo sciopero della fame rientra nell’incomprimibile diritto della persona di manifestare liberamente il proprio pensiero con lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione (art. 21 Cost.) accennando, di sfuggita, al suo valore fortemente simbolico e senza analizzare le relazioni che esistono tra questa libertà e gli altri diritti costituzionalmente garantiti. Perché i diritti, come sappiamo, non risiedono mai in luoghi isolati o appartati ma in un mondo popolato vivendo l’uno con l’altro, l’uno nell’altro e l’uno per l’altro19 e perché la loro pacifica convivenza chiede non già di stilare un loro catalogo di priorità valoriale ma di bilanciarli20 riconoscendo a ciascuno di essi un pari diritto di cittadinanza. Infatti, se è pur vero che l’art. 21 Cost. non comprime il diritto della persona di manifestare con ogni mezzo il suo pensiero, vero è, altrettanto, che questa libertà può sempre interferire gli altri diritti di rango costituzionale (sicuramente quelli previsti dall’art. 32 Cost.: nello specifico la tutela della salute nella sua dimensione non solo individuale ma anche collettiva -art. 32 Cost., comma 1- ed il rispetto dell’auto-determinazione -art. 32 Cost., comma 2, rinforzati dagli artt. 2 e 13 Cost.). C’era così bisogno di superare l’individualismo dell’art. 21 Cost. così da esplorarlo in maniera più ampia ed in modo da bilanciarlo con gli altri valori protetti dalla Carta costituzionale, come si è fatto per altre questioni cliniche problematiche come, ad es., il rifiuto trasfusionale per ragioni religiose21; non già per riconoscere limitazioni sostanziali a quella libertà fondamentale che può avvenire nel solo rispetto delle riserve assolute di legge (così Corte cost., sent. n. 11 del 1968, sent. n. 112 del 1973, sent. n. 20 del 1974, sent. n. 18 e sent. n. 100 del 1981) ma per tutelare gli altri beni costituzionalmente protetti e garantiti. Perché, pur essendo il diritto previsto dall’art. 21 Cost. “il più alto, forse, dei diritti primari e fondamentali” (Corte cost., sent. n. 168 del 1971), vero è, altrettanto, che il suo esercizio non può assumere una sola traiettoria individualistica soprattutto nel caso in cui il suo esercizio incida su altri diritti di pari rango costituzionale. Con relazioni che il CNB avrebbe dovuto meglio esplorare, perché ciò che è chiaro è che la scelta di Alfredo Cospito di praticare lo sciopero della fame e di rifiutare di essere sottoposto all’alimentazione forzata (che è a tutti gli effetti una terapia medica come indicato dalla Legge n. 219/2017) impatta non solo con gli artt. 2, 13 e 32 Cost. ma anche con la tutela della dignità umana. Il cui rispetto non può certo essere compromesso “dal mero fatto che un individuo si trovi sottoposto ad una limitazione della libertà personale, perché detenuto”, in quanto questa situazione non “trasferisce la disponibilità dei suoi diritti fondamentali in capo alle autorità”. Dovendoci anche chiedere se il regime speciale della carcerazione previsto dall’art. 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario confligga con la dignità e se esso faccia parte, a tutti gli effetti, dei trattamenti disumani e degradanti espressamente vietati dall’art. 4 (‘Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti’) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Un’amara conclusione… ancora una volta il medico viene lasciato nel bel mezzo del guado

Quindi, meglio e di più si poteva e si doveva fare.

Il CNB avrebbe soprattutto dovuto esprimere una posizione chiara, componendo le sue divisioni interne anticipate all’opinione pubblica da un breve comunicato stampa. Attraverso il quale siamo venuti a sapere che la maggioranza dei suoi componenti ha espresso l’opinione che le DAT redatte da Alfredo Cospito non avevano nessun effetto giuridico perché “nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita” e che questa modalità di formalizzazione della volontà anticipata non produce alcun effetto ove sia subordinata “all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della Legge 219/2017”. Con una forzatura evidentissima perché quella legge del 2017 indica, in maniera molto precisa e ben circostanziata, le situazioni in cui le DAT perdono il loro effetto giuridico (art. 4, comma 5) che non sono certo quelle del detenuto in sciopero della fame. A meno che il CNB non abbia valorizzato, come già prospettato da qualcuno in fase di emergenza pandemica23 anche se con il parere contrario di altri24, l’indicazione contenuta nell’art. 1, comma 7, della legge medesima e la deroga prevista “nelle situazioni di emergenza e di urgenza” evidenziando, comunque, che, anche in queste particolarissime circostanze, deve essere rispettata “la volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla”. Come conferma, a chiarissime lettere, il Codice di deontologia medica che, all’art. 53, vieta espressamente al medico di assumere iniziative costrittive e di collaborare a procedure coattive di alimentazione o nutrizione artificiale.

Cosicché, al di là di quanto suggerito dalla componente maggioritaria del CNB, la Legge n. 219 del 2017 conferma il diritto inviolabile di vivere senza subire trattamenti sanitari contrari alla nostra volontà e ai nostri desideri. Come hanno evidenziato i 9 componenti di minoranza del CNB che si sono richiamati, del tutto correttamente, al “diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà”, dagli stessi indicato come principio costituzionale fondamentale. Anche perché la Legge n. 219 non richiama nessuna situazione ambientale che potrebbe in qualche modo derubricare il rifiuto terapeutico. La norma non prevede questo con la conseguenza che la legittimità giuridica del rifiuto non può essere condizionata né dal regime di carcerazione e di privazione della libertà personale né dal fatto che con la sua scelta la persona si proponga di perseguire obiettivi costituzionalmente garantiti. Da qui la correttezza della posizione suggerita dai 2 componenti del CNB che hanno aperto la strada alla possibilità di procedere, per mano del legislatore stesso, al “diverso bilanciamento dei principi in gioco […] anche guardando all’esperienza di altri Paesi” sottolineando “la necessità di offrire un esplicito e chiaro riferimento normativo a chi si troverà a prendere queste decisioni, a partire dai medici”. Saggia e condivisibilissima presa di posizione, perché proprio questi professionisti non possono essere lasciati per l’ennesima volta da soli nel bel mezzo del guado scaricando su di essi la responsabilità di assumere, in piena solitudine, decisioni a tutti gli effetti complesse. Decisioni che risultano oggi ora ancor più difficili perché condizionate dall’improvvido e discutibilissimo parere di maggioranza espresso dal CNB.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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