L’ascolto della musica come strumento di cura

Esperienza all’Hospice Casa dei Gelsi

STEFANIA CARPENÈ1, ANDREA ILARI2, MONICA DE FAVERI3, MONICA CATTARUZZA4

1Psicologa psicoterapeuta; 2Operatore socio-sanitario; 3Coordinatore infermieristico; 4Direttore sanitario; Hospice Casa dei Gelsi, Treviso

Pervenuto il 31 maggio 2023. Accettato il 4 ottobre 2023

Riassunto. Attraverso questo articolo l’équipe Hospice Casa dei Gelsi desidera trasmettere il suo contributo legato all’esperienza nell’utilizzo dell’ascolto della musica con i pazienti in fase terminale di malattia. Viene descritto il progetto che ha coinvolto gli operatori socio-sanitari e infermieri per sensibilizzare e consapevolizzare rispetto all’utilizzo di un tale strumento come gesto di cura.

Parole chiave. Hospice, ascolto della musica, cura.

Listening to music as a tool of care. Experience at Casa dei Gelsi Hospice.

Summary. Throught this article the Casa dei Gelsi Hospice team wishes to convey its contribution linked to the experience in using music listening with patients in the terminal phase of illness. The project is described which involved health workers and nurses to raise awareness of the use of such a tool as a gesture of care.

Key words. Hospice, listening to music, care.

Introduzione

Il progetto descritto ha coinvolto gli operatori socio-sanitari (OSS) e gli infermieri per sensibilizzare e consapevolizzare rispetto all’utilizzo di un tale strumento.

Successivamente, abbiamo iniziato a monitorarne l’impiego in reparto in vari momenti della routine assistenziale.

Riteniamo che l’utilizzo della musica, quale aspetto naturalmente presente nella nostra vita, possa contribuire, insieme ad altre attenzioni assistenziali, al miglioramento della qualità di vita del paziente.

Il malato terminale e la sua famiglia sono in ascolto di una sonorità depressiva e cupa, i toni sono gravi e tutta l’energia viene assorbita dal dolore e dalla graduale perdita di autonomia. Si crea una frattura nella storia della persona, del nucleo famigliare, la malattia predomina su tutto.

Ciò che può complicare un processo di elaborazione della perdita nel percorso di malattia, sia nel paziente che nella famiglia, è uno scollamento e una difficoltà di ricollocarsi nella propria storia che viene improvvisamente assorbita nel vortice dell’angoscia di morte. Il silenzio assordante ha i colori del nero, il rischio è non poter vedere né sentire più nulla. In questo senso, “morire prima della morte fisica”.

La nostra équipe si impegna costantemente per garantire qualità di vita, ossia per ricreare connessioni negli scollegamenti che la malattia grave produce. Con cura, gentilezza, discrezione, rispetto, intessiamo legami con il malato e la sua famiglia. Il non verbale, che accompagna i gesti di presenza, può ricucire fili nell’identità corporea violata, nell’umanità ferita e rinchiusa nel “sei malato”, nella narrazione di una esistenza interrotta.

L’utilizzo della musica, in tale assetto assistenziale, comunicativo, relazionale si è collocata a sostegno di questa qualità di presenza professionale. Ed è la musica del malato, è la sua impronta in questa vita.

Nascita e applicazione del progetto

L’idea di rendere sistematico e strutturato l’utilizzo della musica durante i vari momenti assistenziali nasce da un OSS dell’équipe, Andrea, sostenuto da chi coordina e dirige il servizio.

Le sue parole:

“Da dieci anni lavoro come OSS nell’Hospice Casa dei Gelsi a Treviso e da sempre la musica ha avuto un ruolo importante nella mia vita. Mi piacciono tanti generi diversi, dal rock alla musica classica passando per il jazz, pop, metal, leggera, elettronica, ambient, ecc. Suono la chitarra acustica e qualche volta mi diverto con il pianoforte; in famiglia abbiamo una certa predisposizione per la musica.

Da quando lavoro in cure palliative ho sempre cercato di favorire, per i pazienti che lo desiderano, l’ascolto della musica, in particolare durante gli accudimenti. Questo permette di ricontattare quelle parti benefiche di loro stessi che la malattia spesso porta a trascurare.

Il movente di tutto questo è stata l’esperienza che ho vissuto durante la malattia di mio padre.

Nell’agosto 2010, mio padre, sessantacinquenne, scoprì di avere un cancro in fase molto avanzata che nell’arco di cinque mesi se lo portò via. Affrontò quel periodo con grande fede e volle sapere fin dall’inizio come stavano realmente le cose. Questo facilitò il nostro approccio e i nostri dialoghi. Fui il suo caregiver principale e ci fu data l’occasione di sistemare importanti sospesi di una vita.

In quei mesi la musica rivestì un ruolo importante per entrambi.

Gli ultimi due mesi li abbiamo trascorsi insieme in un Hospice della provincia di Reggio-Emilia: rimanevo quasi sempre insieme a lui che mi chiedeva spesso di suonargli la chitarra, tanto che anche i vicini della stanza di fronte erano rallegrati dal sentire musica. Quando gli operatori dell’Hospice lo vennero a sapere ne rimasero positivamente colpiti e mi dissero che non accadeva spesso.

Un giorno uno degli operatori mi portò una chitarra di liuteria pregandomi di suonarla perché da molto tempo non la utilizzava, e vedendo la mia passione per lo strumento pensò che fosse l’occasione giusta per farla rivivere. Me la lasciò per tutto il periodo in cui rimanemmo lì; ero al settimo cielo e mi sentivo onorato per quel gesto, inoltre non avevo mai suonato uno strumento artigianale. Mio padre ogni giorno mi chiedeva di suonarla: aveva davvero un bel suono.

Ricordo ancora le ultime ore di vita di mio padre, quando chiese a noi figli, radunati intorno al suo letto, di suonare e cantare tutti insieme. Queste le sue testuali parole: ‘Insomma! Cos’è quest’aria pesante! Dai... fate un canto!’. Noi lo facemmo e alla fine lui esclamò in dialetto reggiano: ‘Oh… finalmeint un po d’alegrìa!’. La notte stessa se ne andò.

In questi anni alla Casa dei Gelsi, ho vissuto diverse situazioni in cui l’ascolto della musica ha favorito il benessere dei pazienti e dei loro famigliari, sia durante il periodo di degenza che dopo il trapasso della persona assistita, nel momento dell’accudimento del corpo insieme ai famigliari.

Ho notato spesso che le persone non si aspettano che venga loro proposta della musica, c’è come una sorta di pudore/tabù, anche da parte di noi operatori. Certamente è una proposta che deve essere fatta nei momenti opportuni, con rispetto, gentilezza e delicatezza; purtroppo la malattia prende tutta la nostra attenzione e le persone non riescono quasi più ad avere momenti di sana leggerezza”.

Dopo alcuni anni di utilizzo della musica nella pratica assistenziale lasciata alla spontanea iniziativa degli operatori, si è pensato di proporre un questionario a sostegno di tale progetto alle équipe sanitarie di hospice e domicilio per valutare il loro interesse e la loro esperienza in questo ambito.

Hanno risposto 32 operatori su 36, di cui il 91% dichiara di amare la musica, ritenerla utile per migliorare la qualità assistenziale (97%) e il clima lavorativo (94%). La maggior parte si dice favorevole all’utilizzo della musica come sottofondo musicale in hospice (81%), in particolare nelle stanze dei pazienti, negli spazi comuni o in sala infermieri. Il momento assistenziale, in cui gli operatori propongono maggiormente l’ascolto della musica, è l’accudimento: per questo motivo è stata modificata la scheda di registrazione già in uso in hospice creando uno spazio per poter segnalare l’utilizzo della musica durante le cure igieniche dei malati.

Le risposte al questionario sostengono ciò che già era operativo nella pratica clinica, ossia che l’ascolto della musica è una possibilità di aprire spazi di intimità per il malato, la sua famiglia, l’operatore.

La testimonianza di Andrea e quelle che ascolteremo di seguito invitano a pensare che la storia, i vissuti dell’operatore, guidano la qualità della proposta.

Non si tratta solo pertanto di entrare e chiedere al malato se ha piacere ad ascoltare della musica, se ha delle preferenze. Certamente, questo è il piano di realtà pratico. Quello che conta, però, è la consapevolezza che si tratta di un vero e proprio atto di cura. Affinché lo diventi a tutti gli effetti, l’operatore deve essere presente emotivamente a ciò che sta proponendo.

Le emozioni che scaturiscono dagli atti di cura fanno parte del nostro lavoro. Più ne siamo consapevoli, più rimaniamo aperti alla possibilità di accoglierli, in noi, nell’altro.

Potremmo pertanto ribadire che l’ascolto della musica è un vero e proprio “atto che cura” e come tale va gestito, con consapevolezza e presenza attenta. L’intenzione, come qualsiasi atto, è quella di permettere al malato e alla sua famiglia di sentirsi accolti, ascoltati nella loro completezza di persone.

L’incontro con l’altro nella musica:
il racconto di alcuni operatori

Miles Davis

Il signor A. era sulla sessantina e aveva uno spirito giovanile, era allettato e spesso anche piccoli movimenti gli causavano dolore. Era la prima volta che avrei dovuto accudirlo e prima di iniziare gli dissi che potevamo chiedere ad un infermiere di fargli un antidolorifico, ma lui insistette per provare senza. Si chiamava come me e questo ci ha aiutati ad entrare in relazione. Gli proposi il sottofondo musicale e sorridendo mi disse: “Certo, volentieri!”. Tra i pochi CD di cui disponevo c’era Kind of Blue di Miles Davis. Quando glielo proposi il suo viso si illuminò: quello era uno dei suoi dischi preferiti. Feci partire la musica e lui chiuse gli occhi, era come se non fosse più nel suo corpo. Si stava rilassando a tal punto che era come se fosse entrato in un’altra dimensione.

Gli parlavo solamente per chiedergli i cambi di postura necessari per l’accudimento a letto e lui in silenzio si spostava, con la testa faceva piccoli movimenti a ritmo di musica e si capiva che conosceva molto bene quel disco. Quando al termine riaprì gli occhi aveva un sorriso rilassato che non gli avevo mai visto e, ringraziandomi, disse che era stato davvero un momento speciale e che non aveva avuto dolori. Anche per me fu un momento speciale e lo ringraziai a mia volta. Sono uscito dalla sua camera con l’animo rinfrancato e leggero.

“Ma qui si può ascoltare musica?”

R. era un uomo di quasi ottant’anni, affabile e gentile, aveva moglie e una figlia. La prima volta che ci incontrammo dovevo aiutarlo a fare la doccia. Aveva un’espressione seria ed era presente anche la moglie che era molto attenta a quello che facevo. In camera c’era quel tipo di silenzio che si crea quando ognuno è preso dalla propria tristezza e non sa cosa dire, così, per rompere il ghiaccio, gli chiesi se avesse piacere di avere un sottofondo musicale e lui, sorridente e con espressione di sorpresa, mi rispose di sì e aggiunse: “Ma qui si può ascoltare musica?”. Gli risposi: “Sì certo, se uno la gradisce si può”. Feci partire la musica, era una compilation di rock acustico e new age. Mi disse di apprezzarla molto. Lo accompagnai in doccia e iniziammo a parlare di musica; mi disse di esserne molto appassionato e il suo interesse spaziava a 360°. Quando lo riaccompagnai a letto, era più rilassato e sorridente. La moglie lo guardava con aria stupita e mi disse che da molto tempo non lo vedeva così. Ne rimase tanto colpita che prese il telefono e chiamò la figlia, e le raccontò di come il papà si fosse tirato su il morale con la musica. Mi ringraziò molto e io feci altrettanto perché eravamo stati davvero bene. Dopo quel giorno R. si sentì legittimato a manifestare quella parte di se stesso e ci disse di essere anche un grande appassionato di ballo. Mi è poi stato riferito che una mattina in cui si sentiva meglio fece qualche passo di danza assieme a una collega.

Da questi eventi il clima familiare trasse un grande beneficio: c’era un’atmosfera più distesa.

Dopo un certo periodo R. trapassò. A distanza di anni, il giorno dell’anniversario della sua dipartita, ricevo ancora messaggi di ringraziamento da moglie e figlia, che mi dicono che quei momenti insieme a R. con la musica hanno lasciato qualcosa di bello e indimenticabile nei loro cuori.

Cantando Fortis

R. era una signora di quasi sessant’anni, sposata e madre di un figlio. Era molto introversa e non era facile farla “sbottonare”, sapevamo che aveva consapevolezza della sua situazione ma non ne parlava mai. Una mattina le proposi il sottofondo musicale. Inizialmente era restia perché pensava di farmi perdere del tempo, ma le dissi che se voleva per me sarebbe stato un vero piacere, e così accettò. Le chiesi le sue preferenze musicali e mi fece il nome di Alberto Fortis, un cantautore italiano che adorava. Lo cercai su internet e la musica partì. In quel momento R. iniziò, con mia grande sorpresa, a cantare sulle note del brano che conosceva perfettamente, e lo fece, durante l’accudimento, anche sui brani che seguirono. In un’altra occasione accadde lo stesso e R. mi raccontò di aver visto suonare dal vivo l’artista e di avergli scritto in diverse occasioni, ricevendo sempre una risposta. Una volta ricevette addirittura una video-dedica.

Ecco che la musica l’aveva aiutata a ‘sbottonarsi’.

“Dai metti qualcosa di più energico!”

L. era un uomo sopra i quaranta, era sposato e aveva una figlia. Aveva la passione per le moto, i tatuaggi, la birra e la musica hard rock, indossava belle magliette da motociclista con le maniche corte che esaltavano i tatuaggi sulle sue braccia, era un gentile gigante buono e, anche se non lo avevo mai visto in sella ad una moto, mi riusciva facile immaginarlo con il giubbotto di pelle (anche io da giovane ero un metallaro). Una mattina entrai per accudirlo; la sua malattia gli causava spesso un certo sopore ma quel giorno era abbastanza sveglio e acconsentì ad ascoltare musica. Misi del rock leggero che inizialmente gli piacque, ma poi disse: “Dai, dai metti su qualcosa di più energico!”: e così ascoltammo i Metallica. Poco dopo arrivò anche la moglie che fu rallegrata nel sentire la musica poiché condividevano la stessa passione per l’hard rock: avevano visto insieme tutti i concerti dei loro gruppi preferiti.

Il giorno in cui L. trapassò ero presente e, come in altre occasioni, è stato emotivamente molto intenso vedere un giovane papà che se ne va lasciando moglie e figlia. Quando arrivò il momento di accudire il suo corpo domandai alla moglie se desiderasse farlo insieme a noi e ne fu molto contenta. Mi disse che voleva farlo con il sottofondo musicale, scelse un brano dei Guns N’ Roses, quello di quando si erano conosciuti. Dentro di me ho sentito molta gratitudine per poter essere partecipe di una cosa così importante e intima, lo considero un regalo prezioso.

Oltre con Metheny

G. era un chitarrista. Mi parlò delle sue belle chitarre elettriche e durante gli accudimenti gradiva ascoltare Pat Metheny. Il giorno del suo trapasso, con il consenso del fratello, utilizzai come sottofondo per l’accudimento del corpo proprio quella musica, con il brano “Last train home”. Il fratello ne fu contento perché sapeva che la musica aveva significato molto per lui.

“Liricheggiando”

Ricordo M., una donna intorno ai 75 anni, nella stanza Nespolo. Nella vita era stata cantante lirica, esibendosi in vari teatri d’opera in tutto il mondo. La signora, molto attenta alla propria igiene e alla propria estetica, viveva il momento dell’accudimento con molta importanza. Per alleggerire l’igiene e renderla ancora più piacevole, spesso si proponeva un intrattenimento musicale. La paziente accettava sempre e la scelta ricadeva sulla musica lirica con conseguente racconto delle varie esperienze in giro per il mondo. M. esprimeva grande emozione raccontando ciò che si stava ascoltando in quel momento, spiegando la melodia e i fraseggi musicali. Traspariva negli occhi e nelle spiegazioni della signora l’amore per quest’arte, amore che noi operatori, ad ogni racconto, percepivamo sempre di più. Era piacevole intrattenersi in stanza con lei ascoltando i suoi vissuti, il sentimento che mi risuonava dentro era quello di gratitudine per aver permesso ad una persona di rivivere e, soprattutto, condividere il proprio amore, la propria vita artistica.

Che mondo sarebbe senza musica

Ricordo ancora la mia prima esperienza vissuta durante il mio tirocinio con un collega OSS.

Abbiamo eseguito il bagno di un paziente che si chiamava Lorenzo con la barella nel bagno attrezzato.

Era un uomo di una certa età, aveva girato tanto il mondo grazie alla sua passione per la musica, suonava la chitarra in un complesso musicale degli anni Sessanta, ricordo ancora che mi disse che era orgoglioso di quel gruppo.

Quella mattina gli era stato proposto il bagno, lui accettò molto volentieri, gli è stato poi proposto di accompagnare questo momento con della musica jazz (Miles Davis) di suo gradimento, lui con molta gratitudine ed emozione accettò.

Lorenzo allo scorrere dell’acqua si lasciò completamente trasportare dalla musica, chiuse gli occhi, il suo corpo era completamente rilassato, sembrava che volesse far passare un messaggio tipo: “Io mi allontano da questo corpo che ha dolori, da questa malattia, lo affido a voi , ho fiducia e io mi concedo di viaggiare e torno nel mio mondo dove stavo bene, dove la musica mi rendeva felice”.

In certi momenti le sue mani si muovevano come se avesse la chitarra stretta tra di esse.

Tutto ciò che ho potuto osservare e accogliere sono state emozioni forti, difficili da descrivere; tante, intense: secondo me non esiste nemmeno il termine adatto che saprebbe dare il giusto valore a un tale sentire.

Ho capito e apprezzato questa grande opportunità, di comprendere come la musica può essere magia soprattutto per chi sta male.

Può essere un momento per allontanare i pensieri, per raccogliersi in se stessi, così come per poter stare insieme ai pazienti in luoghi famigliari.

La musica ti offre emozioni, esperienze, l’occasione per accogliere, scoprire, lasciarsi andare, trasportare la mente altrove, avvicinarsi, conquistare la fiducia.

Un incontro speciale: G. di “Grazia”

Sono le 11 del mattino, io e Marta, una nuova collega infermiera, entriamo in stanza Carpino, ad aspettarci la signora G., una paziente di 83 anni affetta da adenocarcinoma del retto, con un passato trascorso all’interno di un centro psichiatrico.

Ci presentiamo proponendole un accudimento totale a letto, che la paziente accetta con piacere. Prima di procedere le chiediamo se gradisce ascoltare un po’ di musica e con un dolce sorriso acconsente.

Capiamo fin da subito che si tratta di un momento “speciale” nel quale i gesti, le parole e la musica ci permettono di prenderci cura del suo corpo, della sua mente e della sua anima.

Durante tutto l’accudimento la signora G. si lascia cullare dalle note di Mina, la sua cantante preferita, si abbandona completamente permettendoci di entrare in contatto con il suo Io più profondo. Piu volte G. ci esprime commossa la sua gratitudine per il tempo prezioso che le stavamo dedicando: “Non ho mai ricevuto tanta gentilezza in tutta la mia vita… con la musica, poi, diventa tutto più magico”.

Parole che accarezzano il cuore e che ci permettono di comprendere quanto può diventare speciale un semplice momento della quotidianità; tutto ciò reso possibile dalla presenza della musica, filo conduttore che ha facilitato la relazione fra noi e la signora G.

“Dove le parole non arrivano, la musica parla”, L.V. Beethoven

La vita splendida

Sono le dieci del mattino, io e due colleghe OSS entriamo nella stanza Gledizia, ad attenderci la signora A., una paziente di 53 anni con diagnosi di neoplasia mammaria sinistra localmente avanzata, affetta da un lieve ritardo mentale con disabilità del 30%. A. si dimostra disponibile e cordiale, nonostante ci espliciti fin da subito tutte le sue preoccupazioni in merito alle manovre assistenziali, raccontandoci un episodio vissuto in ospedale che l’ha resa diffidente nei confronti del personale sanitario. Dopo una lunga chiacchierata concordiamo insieme di procedere per un accudimento totale a letto con rifacimento della medicazione in sede della lesione neoplastica. Prima di iniziare, le proponiamo di farci accompagnare dalla musica e la signora A., entusiasta della proposta, acconsente. Sulle note di Tiziano Ferro, il suo cantante preferito, la signora A. chiude gli occhi e, con un sorriso appena accennato sulle labbra, si abbandona ai movimenti delle nostre mani sul suo corpo, fino al momento in cui iniziamo a rimuovere la medicazione. A. rimane con lo sguardo fisso, sembra voler controllare ogni minimo movimento; il seno e l’addome risultano anatomicamente trasformati, lasciando spazio ad un’ampia lesione vegetante con un’estesa ulcerazione del piano cutaneo. Scoperta interamente la lesione, i nostri sguardi si incontrano per pochi istanti, con gli occhi le chiedo il permesso per proseguire la manovra, lei richiude i suoi e si lascia trasportare lontano dalla musica, accennando qualche strofa del brano “la vita splendida”.

Insieme a lei anche noi ci lasciamo trasportare altrove dalla musica, così da rendere meno faticoso il tempo necessario per terminare la medicazione. Terminato l’accudimento, A. ci ringrazia commossa per averle regalato un momento di così profonda intimità senza causarle dolore e senza farla sentire un peso: “Mi avete permesso di ascoltare il mio Tiziano Ferro, di viaggiare lontano, di sentirmi leggera… che gioia poter iniziare un’altra faticosa giornata così”. Ecco come l’utilizzo della musica è stato fondamentale nell’incontro fra noi e la signora A.: da un lato ha aiutato a gestire le emozioni, le paure e le ansie della paziente, alleggerendone i sintomi fisici e psicoemotivi associati alla malattia, dall’altro ha supportato noi operatori sanitari nella gestione della relazione d’aiuto e di cura.

“La musica trasforma in poesia anche la vita più dura”, Vo Nguyen Giap

Considerazioni finali

L’accompagnamento nella fase finale di malattia può avere in sé il dono di un riappropriarsi delle piccole cose che fanno di ogni momento una dimensione preziosa. Un sorriso, uno sguardo, una carezza, una parola gentile un atto di cura accompagnato da una presenza attenta, un massaggio, un tocco rispettoso: aspetti che danno dignità alla persona malata e all’operatore. In tale assetto, introdurre una musica da ascoltare insieme diviene incontro che si gioca nel qui ed ora, nuovo per sé e per l’altro. Melodie ove non si scorge il confine, dove quello che è stato e quello che sarà si fondono in un tempo dilatato. Nell’adesso riecheggia il vitale incanto di una presenza nuova, che si espande e acquista spessore, tridimensionalità, nuova vitalità. Vita che nasce dentro a un ritmo, battito del cuore che poi si espande in sonorità fisiche e psichiche che accompagnano tutta l’esistenza, nei toni più accesi, silenti, assordanti, tenui.

Una colonna sonora che ogni individuo compone ed è sottofondo alla sua esistenza. Diversa per ognuno come diverse sono le storie. Non si spegne mai, continua fino alla fine.

Si può così immaginare l’accompagnamento come uno strumento che si inserisce con rispetto e pudore nell’orchestra che da sempre accompagna l’esistenza della persona. Riproducendo una musica dai toni pacati, morbidi, accoglienti, restitutivi di senso e dignità.

È una esperienza densa di umanità condivisa dove sia l’operatore che il paziente sono guidati oltre la fisicità malata, perdendosi nelle infinite possibilità dell’essere.

Conflitto di interessi: le autrici e l’autore dichiarano l’assenza di conflitti di interessi.

Ringraziamenti: si ringraziano gli operatori che hanno contribuito con le loro testimonianze, Andrea, Dario, Doris, Monica.

Bibliografia

“Playing an instrument, singing can help the brain defend against dementia”. J Am Geriatr Soc 2021.

“Music may offer alternative to preoperative drug routinely used to calm nerves”. Br Med J 2019.

Balestrieri A. La mente in musica: come reagisce il cervello all’ascolto della musica. Ed. Pensieri e appunti, 2021.