L’assistente sociale nelle cure palliative: passato, presente e prospettive future

TANIA PICCIONE

Presidente Federazione Cure Palliative, Palermo

Pervenuto il 6 maggio 2024. Accettato il 7 maggio 2024

Riassunto. La considerazione che la sofferenza delle persone di ogni età affette da malattie gravi si esprima non soltanto a livello somato-sensoriale ma sia intrisa di aspetti psicosociali poiché compromette l’integrazione ai propri sistemi micro e macro sociali, l’affettività e la relazionalità, pone l’accento sulla importanza della cura dei bisogni sociali come dimensione imprescindibile, insieme alle altre, per il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile. Nel nostro Paese l’assistente sociale fa parte delle équipe di cure palliative da decenni, seppur con modalità diverse nei vari contesti organizzativi, ed ha ricevuto nel tempo specifico riconoscimento legislativo e operativo contribuendo, con il suo specifico professionale, a rispondere alla complessità dei bisogni della persona malata e della sua famiglia ed interpretando un ruolo propulsivo nella promozione del principio di integrazione fra il versante sanitario e quello sociale dell’assistenza. Partendo da queste premesse si delinea quale contributo gli assistenti sociali apportino nell’ambito del lavoro in cure palliative e quali siano le competenze chiave attraverso cui si realizza il loro intervento a supporto dei malati e delle famiglie, con uno sguardo in particolare alle sfide future. Queste sono connesse all’esigenza di far fronte ai nuovi bisogni di salute determinati dalle trasformazioni del contesto socio-demografico attualmente in corso, a seguito delle quali si manifesta la crescita progressiva del numero di persone che affrontano l’ultima parte della propria esistenza in condizioni di fragilità sociale e con bisogni multidimensionali complessi.

Parole chiave. Assistenza sociale, bisogni sociali, integrazione socio-sanitaria, approccio psicosociale, cure palliative di comunità.

Palliative care social worker: past, present, and future perspectives.

Summary. The consideration that suffering of people of all ages affected by serious illnesses is expressed not only at a somato-sensory level but is imbued with psychosocial aspects since it compromises integration into their own micro and macro social systems, affectivity and relationality, poses the emphasis on the importance of taking care of social needs as an essential dimension, together with the others, for achieving the best quality of life. In our country the social worker has been part of palliative care teams for decades, albeit with different methods in the various organizational contexts, and has received specific legislative and operational recognition over time, contributing, with his specific professional skills, to respond to the complexity of needs of the sick person and his family and playing a driving role in promoting the principle of integration between the health and social sides of assistance. From these premises, we outline the contribution of social workers in the field of palliative care work and the key skills in their intervention in support of patients and families, with a particular look at the future challenges. These ones are associated to the need to meet the new health needs determined by the transformations of the socio-demographic context currently underway, following which there is a progressive growth in the number of people who face the last part of their existence in conditions of social fragility and with complex multidimensional needs.

Key words. Social work, social needs, health and social care integration, psycosocial care, community palliative care.

La cura dei bisogni sociali, insieme al controllo del dolore e degli altri sintomi, del disagio psicologico e della sofferenza spirituale, è evidenziata nella definizione di cure palliative come dimensione imprescindibile per il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile delle persone di ogni età affette da malattie gravi e, in particolare, di coloro che si avvicinano alla fine della vita, delle loro famiglie e dei caregiver.

La considerazione che la sofferenza si esprima non soltanto a livello somato-sensoriale, ma sia intrisa di aspetti psicosociali poiché compromette in maniera significativa le competenze attive, il senso di identità e la relazionalità sociale della persona malata, segue il movimento delle cure palliative fin dalla sua nascita. La stessa fondatrice, Cicely Saunders, si è interessata alla dimensione sociale della sofferenza lavorando come assistente sociale per accompagnare i malati nel modo più confortevole possibile, con la consapevolezza che ogni persona, pur in fase terminale di malattia, non cessa per questo di esistere come essere socializzato che fonda la propria vita su relazioni sociali, materiali e simboliche, ed è riconoscibile unicamente nell’ambito di un contesto comunicativo e relazionale.

Nel nostro Paese l’assistente sociale è diventato un membro importante delle équipe di cure palliative già da diversi decenni, operando dapprima prevalentemente nell’ambito delle organizzazioni senza fini di lucro che già a partire dalla fine degli anni ’70, osservando un vuoto istituzionale nella cura delle persone affette da malattie inguaribili in fase avanzata, hanno impresso la spinta decisiva per la nascita e il successivo sviluppo delle cure palliative ponendo le basi della moderna sussidiarietà orizzontale. In tali contesti organizzativi gli assistenti sociali hanno mostrato nel tempo la capacità di far fronte alle difficoltà di rispondere in modo innovativo alla complessità dei bisogni della persona malata e della sua famiglia, interpretando un ruolo propulsivo nella promozione del principio di integrazione fra il versante sanitario e quello sociale dell’assistenza, che pur essendo stato assunto come punto forte della riforma sanitaria del ‘78, ha da sempre stentato a trovare attuazione coerente ed effettiva.

Il primo riferimento normativo del ruolo dell’assistente sociale nelle cure palliative risale al D.M. 28 settembre 1999 che definisce il programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative e delinea l’organizzazione della Rete di assistenza ai malati terminali, prevedendo una specifica fase operativa preposta alla valutazione dei bisogni, alla presa in carico e alla formulazione del piano terapeutico individualizzato con il coinvolgimento, oltre che dei diversi professionisti sanitari, anche dell’assistente sociale. Tale norma è poi ripresa dalla L. 38 del 15 marzo 2010 laddove gli assistenti sociali con specifiche competenze ed esperienza vengono annoverati tra i profili professionali idonei ad operare nella Rete di cure palliative e nella Rete di terapia del dolore. Il ruolo dell’assistente sociale viene richiamato ancora nell’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 10 luglio 2014 che individua le figure professionali competenti nel campo delle cure palliative per adulti e minori e definisce, anche per tale professionista, i percorsi formativi obbligatori e omogenei in termini di conoscenza, competenza e abilità ai fini dello svolgimento dell’attività professionale nell’ambito delle reti di cure palliative.

Nonostante la figura professionale dell’assistente sociale che opera nell’ambito delle cure palliative in molti contesti sia storicamente radicata e il suo ruolo abbia ricevuto nel tempo specifico riconoscimento legislativo e operativo, oggi la presenza in équipe e il grado di integrazione con gli operatori sanitari sono estremamente eterogenei nelle diverse regioni italiane e sono influenzati da diversi fattori, tra cui la tipologia dell’organizzazione che eroga i servizi e le scelte degli organi dirigenziali che regolamentano gli spazi e gli ambiti comuni di lavoro interprofessionale.

Nello specifico è da rilevare che mentre nel contesto degli enti del terzo settore attivi nell’ambito delle cure palliative è molto frequente trovare in organico almeno un assistente sociale dedicato, all’interno degli enti pubblici di chiara matrice sanitaria l’interazione con l’area sociale non risulta così tangibile e tale difficoltà può manifestarsi con la presenza saltuaria nelle équipe di cure palliative di assistenti sociali che comunque non vi operano in maniera dedicata. Situazioni di questo genere rischiano di favorire lo scivolamento dalla modalità di lavoro propria delle cure palliative, basata sulla presa in carico multidisciplinare dei bisogni del malato e della famiglia, a paradigmi di intervento in cui l’apporto sociale è garantito in forma meramente consulenziale, cioè a modelli che di fatto finiscono per svilire il concetto di cura sociale come processo che dovrebbe permeare l’intero percorso assistenziale – dall’assessment alla conclusione dell’intervento – mettendo a repentaglio l’interazione e il confronto continuo con gli altri operatori dell’équipe in vista del raggiungimento degli obiettivi di cura.

Si profila quindi l’importanza della presenza continua dell’assistente sociale all’interno delle équipe di cure palliative: la rilevazione, la valutazione e la gestione dei bisogni sociali della persona malata e della sua famiglia – che riguardano specificamente l’appartenenza e l’integrazione ai propri sistemi micro-sociali (famiglia, amici) e macro-sociali (lavoro, comunità, politica), l’affettività, la socializzazione, la relazionalità – rappresentano azioni professionali indispensabili per garantire percorsi di cura orientati al miglioramento della qualità della vita e alla tutela della dignità della persona. La qualità e la dignità della vita risultano infatti condizionate anche dai flussi di relazioni in cui ogni persona di volta in volta è immersa e dalla disponibilità di una Rete sociale di supporto, la cui capacità organizzativa e di copertura consente la soddisfazione di bisogni pratici rispondendo al contempo ai bisogni primari di sostegno affettivo e di sicurezza, questa ultima trasmessa non solo da fattori clinici ma anche, per esempio, dagli aspetti finanziari, dall’ambiente di cura, dal coinvolgimento delle persone care nei processi decisionali.

Con riferimento al ruolo svolto dall’assistente sociale nell’ambito dell’équipe di cure palliative è da rilevare che, come mostrato da diversi studi internazionali, sussiste una difficoltà nel documentarlo con chiarezza, tanto che risulta spesso ambiguo e frainteso dagli altri membri dell’équipe con ripercussioni sfavorevoli nell’ottica del riconoscimento e della valorizzazione del contributo del servizio sociale, determinando altresì il rischio di sovrapposizione di ruoli con altri profili professionali. Emerge quindi la necessità di delineare con precisione quale contributo gli assistenti sociali apportano nell’ambito del lavoro in cure palliative e quali siano le competenze chiave attraverso cui si realizza il loro intervento a supporto dei malati e delle famiglie. La definizione chiara del ruolo dell’assistente sociale è raccomandata in letteratura come elemento necessario per un coinvolgimento più incisivo di tale professionista nell’équipe di cure palliative poiché permette di rendere visibili agli operatori sanitari i benefici del servizio sociale, riduce le possibilità di conflitti di ruolo aiutando a mantenere i confini professionali e migliorando in tal modo la multidisciplinarietà dell’intervento e la cooperazione tra i diversi membri dell’équipe.

L’assistente sociale che opera in cure palliative utilizza un procedimento metodologico che prende avvio con la valutazione della condizione socio-relazionale di malati e famiglie e del contesto ambientale, culturale ed economico in cui essi sono inseriti, al fine di pervenire ad una sintesi interpretativa dei dati raccolti e quindi alla puntuale definizione dei bisogni sociali. Tale fase di esplorazione della dimensione sociale, parte fondamentale del processo di presa in carico globale della persona, si configura come un’operazione dinamica che segue tutto il percorso assistenziale e che viene eseguita attraverso l’utilizzo di specifici strumenti di assessment validati per il cui approfondimento si rimanda al Documento di Raccomandazioni della Commissione Assistenti Sociali SICP “L’apporto dell’assistente sociale nella valutazione multidimensionale in cure palliative” (2016) (https://t.ly/qirBE). Una efficace lettura dei bisogni facilita l’identificazione degli obiettivi della cura sociale nell’ambito del Progetto Assistenziale Individuale (PAI) e orienta conseguentemente la fase di attuazione dell’intervento di assistenza sociale per raggiungere gli obiettivi indentificati attraverso la realizzazione di un complesso funzionale di azioni professionali tra cui la consulenza socio-assistenziale e l’orientamento ai servizi del territorio, il supporto psicosociale e il sostegno del malato nel processo decisionale durante tutto il percorso di malattia, l’empowerment e la difesa dei diritti degli utenti (sia a livello micro che macro) per garantire che le persone possano soddisfare i propri bisogni biopsicosociali e abbiano pari accesso alle risorse superando le determinanti sociali di salute, l’attivazione di reti e la promozione dell’integrazione promuovendo la partecipazione di tutti gli stakeholder e la valorizzazione delle risorse della comunità.

Con riferimento a questo ultimo aspetto, l’assistente sociale di cure palliative sarà sempre più chiamato in futuro, per mandato professionale e sociale, a svolgere un ruolo chiave nella organizzazione di risposte assistenziali innovative, ad elevatissima integrazione socio-sanitaria, per far fronte ai nuovi bisogni di salute connessi alle trasformazioni del contesto socio-demografico attualmente in corso, a seguito delle quali si sta determinando la crescita progressiva del numero di persone che affrontano l’ultima parte della propria esistenza in condizioni di fragilità sociale e con bisogni multidimensionali complessi.

La combinazione tra invecchiamento della popolazione, che impatta sulle principali patologie con prevalenza di quelle croniche, e semplificazione delle strutture familiari, che vede da un lato la crescita del numero di famiglie e dall’altro la contrazione del numero medio di componenti (le persone sole che hanno superato un terzo delle famiglie totali), unitamente ad altri fattori tra cui l’aumento delle condizioni di povertà, il rallentamento della crescita della componente straniera e l’aumento dell’instabilità coniugale, ha profondamente modificato la dimensione, la struttura e la consistenza della Rete di supporto sociale, impattando sui ruoli degli attori che la compongono e sulle loro interconnessioni. Al crescere dell’età decresce sensibilmente la percentuale di persone che possono contare su figure parentali e amicali, soprattutto nell’ambito dei compiti di cura. Il tema della solitudine quindi diventa prioritario, imponendo un ripensamento dei legami con la comunità nel tentativo di catalizzare le reti sociali e comunitarie per sostenere le persone affette da malattie inguaribili in fase avanzata e terminale. In questo ambito rientrano azioni professionali specificamente di natura sociale, come per esempio lo sviluppo di logiche di Community Building attraverso la mobilitazione delle risorse esistenti e del capitale sociale al fine di migliorare i modi informali in cui le persone si connettono tra loro, arginando situazioni di solitudine ed isolamento (si pensi alle esperienze di comunità solidali e compassionevoli a supporto delle persone con bisogni di cure palliative) e l’implementazione di percorsi di empowerment dei malati al fine di consentire loro di assumere il ruolo di co-producer per la gestione efficace della propria malattia in vista del miglior outcome di salute.

Agli assistenti sociali che operano in cure palliative spetta dunque una interessante sfida futura: la sperimentazione di nuovi modelli e approcci operativi di contrasto a uno dei più preoccupanti elementi di perdita comunitaria, la relazione che produce risposte sociali. Affrontare l’impoverimento relazionale passa attraverso un mirato intervento di comunità che potenzi la reciprocità del network di riferimento della persona assistita con il fine ultimo di realizzare efficaci percorsi di presa in carico dei malati e delle loro reti familiari/sociali e contestualmente promuovere una cultura di solidarietà, comprensione e supporto reciproco, insieme alla promozione di pratiche che rispettino e valorizzino la dignità e l’autonomia delle persone fino alla fine.

Conflitto di interessi: l’autrice dichiara l’assenza di conflitti di interessi.

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