Criteri allocativi e scelte tragiche in sanità:
quale lezione dalla pandemia?

LUCIA BUSATTA1, IRENE DOMENICI2

1Ricercatrice, Università di Trento; 2Ricercatrice, Max Planck Institute for Social Law and Social Policy, Monaco, Germania

Pervenuto il 31 ottobre 2023. Accettato il 2 novembre 2023.

Riassunto. Il contributo riflette, a distanza di oltre tre anni, sulla questione dei criteri da adottare nell’allocazione delle risorse scarse di terapia intensiva durante la pandemia da Covid-19. Dopo una panoramica delle raccomandazioni adottate dalle società scientifiche, in Italia e in alcuni altri Paesi europei, si sottolineano le particolarità del problema dell’allocazione delle risorse sanitarie in contesti emergenziali. Si riflette poi sulla varietà di criteri che possono essere adottati per guidare la scelta dei pazienti da trattare con priorità e sulla loro categorizzazione: sostanziali o procedurali. In particolare, il rispetto del principio della trasparenza come criterio procedurale può efficacemente sostenere e legittimare le scelte di triage, nonché contribuire alla comprensione della complessità e drammaticità delle scelte allocative e a un utilizzo più responsabile dei servizi sanitari da parte della popolazione. Per garantire trasparenza nei confronti della collettività, nonché la possibilità di controllare il rispetto dei diritti fondamentali dei pazienti, è necessario che il sapere medico-scientifico venga integrato nell’ordinamento giuridico, come avvenuto con l’inserimento delle raccomandazioni SIAARTI-SIMLA nel Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità. Il contributo conclude con una riflessione sul concetto dell’appropriatezza clinica come criterio volto a orientare le scelte sanitarie sia nell’ordinarietà che nelle situazioni di emergenza.

Parole chiave. Triage, allocazione, trasparenza, appropriatezza, Costituzione, diritto sanitario.

Allocation criteria and tragic choices in healthcare: which lesson from the pandemic?

Summary. The contribution focuses, more than three years later, on the issue of the criteria to be adopted in the allocation of scarce intensive care resources during the COVID-19 pandemic. After an overview of the recommendations adopted by scientific societies, in Italy and in some other European countries, the peculiarities of the problem of allocating healthcare resources in emergency contexts are highlighted. It then reflects on the variety of criteria that can be adopted to guide the choice of patients to be treated with priority and their categorisation: substantive or procedural. In particular, respect for the principle of transparency as a procedural criterion can effectively support and legitimise triage choices, as well as contribute to an understanding of the complexity and drama of allocative choices and to a more responsible use of health services by the population. In order to guarantee transparency towards the community, as well as the possibility of monitoring the respect of patients’ fundamental rights, it is necessary that medical-scientific knowledge be integrated into the legal system, as happened with the inclusion of the SIAARTI-SIMLA recommendations in the Istituto Superiore di Sanità National Guidelines System. The contribution concludes with a reflection on the concept of clinical appropriateness as a criterion to guide healthcare choices both in ordinary and emergency situations.

Key words. Triage, allocation, transparency, appropriateness, constitutional law, health law.

La necessità di allocare risorse scarse in situazioni di emergenza

Nei primi giorni del 2020, la diffusione del nuovo coronavirus cominciava a preoccupare il mondo occidentale. Ben presto, l’idea che la circolazione del virus SARS-CoV-2 potesse essere confinata all’Estremo Oriente svanì e i Paesi europei si scoprirono presto vulnerabili. Tra la fine di gennaio e i primi giorni di febbraio, l’Italia e altri Paesi europei iniziarono ad adottare misure progressivamente più restrittive al fine di contenere la circolazione del contagio: il primo intervento significativo in Italia fu la Delibera del 31 gennaio 2020, con cui il Consiglio dei Ministri dispose lo “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, secondo quanto previsto dal Codice della Protezione Civile (d.lgs. n. 1/2018). Tale atto ha costituito il fondamento giuridico degli interventi normativi che, fino al 31 marzo 2022 (termine dello stato di emergenza, secondo quanto previsto dal DL n. 24/2022) hanno rivoluzionato le abitudini di vita della popolazione italiana.

Mentre si tentava di proteggere la collettività da un virus del quale non si conoscevano gli effetti né le modalità di cura, negli ospedali si cercava di curare quante più persone possibili. Le strumentazioni, i posti letto e, soprattutto, i respiratori necessari per curare i casi più gravi si dimostrarono, però, ben presto insufficienti a rispondere ai bisogni di cura che, soprattutto in alcune Regioni del Nord Italia, erano emersi sin dalle prime settimane1.

La condizione di eccezionale pressione che tutte le strutture sanitarie si sono presto trovate a fronteggiare ha sollecitato l’attenzione sull’importanza di salvaguardare la salute dei più fragili ma anche di individuare straordinarie e mirate modalità di gestione del fenomeno all’interno delle strutture sanitarie.

Fra i primi interventi, il documento di Raccomandazioni prodotto dalla SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) e pubblicato in data 6 marzo 2020 ha subito sollevato un ampio dibattito nell’opinione pubblica2. Le prese di posizione più critiche riguardavano uno dei criteri indicati per allocare le scarse risorse strumentali in una situazione di eccezionale carenza: chiarito che il criterio first come first served non avrebbe potuto funzionare in queste specifiche circostanze, poiché avrebbe escluso dai respiratori pazienti potenzialmente elegibili, il documento aggiungeva il criterio della “maggior speranza di vita”. Secondo quanto espresso dagli estensori, “La scelta deve interpretarsi come una valutazione quanto più possibile attenta dell’età come espressione della riserva funzionale che il paziente è in grado di mettere in gioco per affrontare non solo la sfida della malattia, ma anche l’impatto delle cure intensive (età anagrafica in assenza di comorbilità, età biologica in presenza di comorbilità”3.

Tali considerazioni e, in particolare, le raccomandazioni n. 3 (“Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in TI”) e n. 4 (“La presenza di comorbilità e lo status funzionale devono essere attentamente valutati, in aggiunta all’età anagrafica”) hanno subito sollecitato un ampio e divisivo dibattito pubblico, a motivo dell’eccessiva impostazione ispirata alla bioetica utilitaristica, secondo alcuni (Palazzani), o di un approccio ageistico considerato discriminatorio nei confronti degli anziani o delle persone con malattie croniche o disabilità, secondo i commentatori più critici4,5.

Ad una prima lettura delle Raccomandazioni della SIAARTI, i criteri suggeriti potrebbero prestarsi a tali critiche; approfondendo però il documento nel suo insieme, risulta evidente l’assoluta straordinarietà ed eccezionalità di scelte di tal genere e la volontà degli estensori di valorizzare l’appropriatezza clinica, invece di promuovere un mero approccio utilitarista.

Se si considera, inoltre, il fatto che le Raccomandazioni sono state pubblicate quando ancora le misure più restrittive (il c.d. lockdown) non erano ancora state adottate e solamente alcune parti della Penisola avevano registrato dati di contagio, si può ben intendere lo spirito di supporto nei confronti dei colleghi “in prima linea” che ha mosso gli estensori e la volontà di fornire “da subito” alcune linee di indirizzo, a fronte di una situazione inedita, spaventosa e potenzialmente incontrollabile.

Considerata, dunque, la velocità nella pubblicazione e la “brevitas” di un documento pensato per gli “addetti ai lavori” e non per la collettività in generale, il fattore che ha determinato il rapido infiammarsi del dibattito, nei termini detti, riguarda la consapevole e coraggiosa scelta degli estensori di rendere subito pubbliche le raccomandazioni, con l’aperta finalità di promuovere la trasparenza e la conoscibilità delle difficili scelte allocative in sanità.

Il denso dibattito generatosi e la volontà della società scientifica promotrice del documento di accrescere la consapevolezza nella collettività della delicatezza e della difficoltà delle decisioni quotidianamente richieste a chi lavora in corsia, rese ancor più gravose in situazioni straordinarie o emergenziali, hanno determinato l’adozione di un secondo documento da parte di SIAARTI e SIMLA, dal titolo “Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia di covid-19”6, nonché di numerosi interventi da parte di esperti in commento.

Una questione delicata non solo in Italia

La necessità di adottare nuove linee guida, pensate in particolare per il triage dovuto all’emergenza Covid-19, è stata avvertita dalle società scientifiche di altri paesi europei7. Nel Regno Unito, il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) nell’aprile 2020 ha raccomandato di ammettere i pazienti in terapia intensiva basandosi su valutazioni della loro fragilità8. In Germania, nel marzo 2020, la Deutsche Interdisziplinäre Vereinigung für Intensiv- und Notfallmedizin (DIVI) ha emanato delle raccomandazioni etico-cliniche sull’allocazione delle risorse di terapia intensiva nel contesto pandemico9. Pur non giuridicamente vincolanti, esse hanno di fatto autorevolmente indirizzato le decisioni dei medici di terapia intensiva in mancanza di altre indicazioni legislative. Le linee guida distinguevano la situazione di triage ‘ex-ante’ da quella ‘ex-post’, ossia dalla possibile necessità di revocare un trattamento già iniziato per poterlo assegnare a nuovi pazienti sopraggiunti. In entrambi i casi, suggerivano - in analogia con quanto previsto dal documento italiano della SIAARTI - di basare la prioritizzazione dei pazienti sul criterio della prospettiva di successo clinico e di adottare il principio secondo il quale la decisione non andrebbe mai lasciata alla responsabilità di un singolo medico.

L’adozione, da parte di società scientifiche, di linee guida volte a guidare un processo decisionale che incide direttamente sui diritti fondamentali alla vita e alla salute degli individui ha sollevato in tutta Europa l’attenzione della dottrina giuridica e della giurisprudenza. Ad esempio, In Italia, un gruppo di esperti in materie etiche, deontologiche e giuridiche ha offerto una contestualizzazione delle linee guida SIAARTI per esplicitare i principi alla base del documento1. Nel Regno Unito, la dottrina giuridica ha cercato di riportare la questione dell’assegnazione dei ventilatori all’attenzione del governo10. In Germania, la Corte Costituzionale Federale è intervenuta affermando il dovere del legislatore di intervenire nella definizione dei criteri di triage11.

Il problema dell’allocazione di risorse in sanità

Le problematiche affrontate nei documenti citati e le difficili condizioni provocate dalle contingenze dell’emergenza sanitaria hanno imposto ai Paesi europei di riflettere sulla solidità e sostenibilità dei criteri adottati nei rispettivi sistemi sanitari per stabilire le priorità cliniche. Ci si riferisce, in particolare, alle decisioni sull’allocazione delle risorse, ossia al procedimento finalizzato a stabilire quali risorse (finanziarie, temporali, umane e strumentali) destinare allo svolgimento di una determinata attività (in questo caso, in ambito sanitario) e definire i criteri di priorità degli interventi. La finalità è quella di utilizzare nel modo più efficiente ed efficace possibile le risorse disponibili, nella consapevolezza che saranno comunque insufficienti a soddisfare le sempre crescenti domande di assistenza sanitaria indotte dall’invecchiamento della popolazione, dall’aumento delle cronicità e dal sempre più indispensabile apporto delle tecnologie in sanità12.

Per questo motivo, tutti i sistemi occidentali, da tempo, si sono dotati di specifici strumenti decisionali, tanto a livello di politiche pubbliche e (macro-allocazione) quanto per le singole decisioni da adottarsi caso per caso (micro-allocazione), per utilizzare le risorse in modo equo e ridurre gli sprechi. La questione allocativa riguarda, quindi, l’aspetto finanziario, che costituisce, in certi termini, il presupposto a partire dal quale si compiono tali scelte, ma deve necessariamente prendere in considerazione anche altri e ulteriori elementi. Fra questi, in particolare, ha rilievo la domanda di assistenza sanitaria proveniente dalla collettività, dal momento che l’organizzazione sanitaria si parametra necessariamente sui bisogni degli assistiti.

Non può poi essere tralasciato l’impatto delle tecnologie sulla cura e sull’assistenza: da un lato, come è evidente, il progresso scientifico e tecnologico ha un costo destinato a gravare sull’organizzazione sanitaria; tuttavia, investire in tecnologia può contribuire ad anticipare la diagnosi, consentire di assistere contemporaneamente più pazienti e migliorare la qualità e la precisione dell’assistenza sanitaria. Questi fattori possono contribuire, sul lungo periodo, a rendere più efficiente l’assistenza sanitaria e ridurre le spese mediche da sostenere per la cura di un singolo paziente.

Da tali considerazioni risulta intuitivo come, a fronte della soluzione o della migliore gestione di un singolo problema sanitario, se ne possano aprire di nuovi: il superamento di una questione non si traduce nella riduzione dell’impegno pubblico, ma moltiplica, al contrario, nuove situazioni da disciplinare, gestire e (auspicabilmente) risolvere13. È il paradosso della salute, che svela l’eterna insaziabilità dei bisogni sanitari e la continua propensione dell’essere umano a migliorare costantemente il proprio stato di salute, anche grazie al progresso tecnologico e allo sviluppo delle conoscenze in medicina.

Si tratta, insomma, di un tema che prescinde l’emergenza sanitaria, ma che nello specifico contesto della pandemia ha manifestato tutta la sua criticità e la drammaticità.

Cercando di schematizzare, si possono distinguere diversi tipi di decisioni allocative. La prima e più comune è quella che riguarda l’ordinarietà, ossia l’insieme delle scelte di politica pubblica (a livello macro-allocativo) e la definizione delle priorità di intervento nel contesto delle aziende o strutture sanitarie (a livello micro-allocativo). Queste hanno generalmente carattere normativo o regolatorio e consentono di elaborare decisioni sulle prestazioni da garantire e sulle priorità da accordare ai pazienti14. Queste consentono di “giustificare” ciascuna decisione, potendone argomentare le ragioni. La fondatezza di tali argomentazioni può, eventualmente, essere sottoposta ad uno scrutinio giurisdizionale, per un vaglio di legittimità e ragionevolezza (nel caso di decisioni di macro-allocazione), o per valutarne la correttezza ed escluderne l’arbitrarietà (anche nei casi di micro-allocazione). Pur nel rispetto dell’autonomia delle decisioni in campo medico, ormai la giurisprudenza è concorde nel ritenere che le scelte in materia sanitaria debbano essere giustificate dal punto di vista della ragionevolezza e il percorso che le ha determinate debba fondarsi su criteri rispettosi dello stato delle conoscenze scientifiche e del principio di eguaglianza, oltre che, naturalmente, delle norme sanitarie di riferimento.

Quanto accaduto durante la pandemia, però, ha mostrato come, talvolta, nemmeno questo possa bastare. L’eccezionale e gravissima carenza di risorse ha imposto di cambiare prospettiva rispetto ai criteri allocativi normalmente utilizzati, adoperando canoni di valutazione più simili a quelli utilizzati nei contesti di guerra o delle maxi-emergenze (i.e. calamità naturali o catastrofi). Nella medicina delle catastrofi, nata in contesti di fortissima sproporzione tra le necessità delle persone colpite dell’emergenza e le risorse prontamente disponibili, il criterio first come, first served viene abbandonato a favore di un criterio commisurato anche all’efficacia prognostica dell’intervento, per allocare nel modo più efficace possibile le (pochissime) risorse disponibili e salvare, al contempo, quante più vite possibili1. Il limite di tali valutazioni risiede, però, nella loro inevitabile contingenza e strettissima attualità: tale approccio non è pensato per avere carattere duraturo o di lungo periodo, ma per consentire decisioni rapidissime in contesti comunque di breve durata.

Il contesto pandemico ha, invece, aperto un ulteriore fronte: la carenza e l’eccezionale squilibrio di risorse si sono dimostrati analoghi a quelli noti alla medicina delle catastrofi, ma con un elemento ulteriore e in certi termini “inedito”. Accanto alla carenza contingente, infatti, si è reso da subito necessario ragionare in termini “prospettici”, ossia valutare che la scarsità di risorse sarebbe stata destinata a durare per un periodo più lungo rispetto ai tempi normalmente limitati delle maxi-emergenze e, con ogni probabilità, avrebbe proiettato i propri effetti su larga scala anche sul medio e lungo periodo (cosa che, effettivamente, si è poi verificata e con la quale ci stiamo ancora misurando).

Così, anche al fine di ridurre l’impatto negativo della limitazione delle risorse sul lungo periodo, ai criteri emergenziali vanno sommate altre valutazioni, utili a garantire l’equilibrio dei sistemi sanitari e per la gestione delle risorse.

Anzitutto, i piani pandemici: un’eventuale nuova pandemia non potrà più trovare i sistemi sanitari impreparati. Sono necessari strumenti di preparedness, scorte e procedure operative volte a evitare situazioni simili a quelle tragiche dei primi giorni dell’emergenza sanitaria. In secondo luogo, i criteri procedurali e sostanziali che possono supportare al macro e micro livello chi è chiamato a prendere decisioni allocative. In terzo luogo, una più consapevole valorizzazione del criterio dell’appropriatezza clinica, quale strumento per valutare sino a che punto attivarsi e quando desistere dagli interventi terapeutici.

Quali criteri per l’allocazione delle risorse?

Avendo stabilito la tragica necessità di stabilire criteri per l’allocazione di risorse scarse, possiamo classificare le diverse tipologie e riflettere sulla loro rilevanza giuridica.

La protezione dei diritti fondamentali dei pazienti coinvolti può essere garantita tramite criteri sostanziali o procedurali.

I criteri sostanziali offrono indicazioni operative per la scelta di quali pazienti debbano ricevere accesso prioritario alle risorse scarse. Mentre il primo documento di raccomandazioni della SIAARTI suggeriva il criterio della “maggior speranza di vita”, il secondo documento, adottato da SIAARTI e SIMLA, escludeva la possibilità di considerare il parametro dell’età se non nel contesto della valutazione globale del paziente. Il criterio cronologico o quello del sorteggio erano rigettati da entrambi i documenti, nonché dalla maggior parte della dottrina giuridica.

Le raccomandazioni SIAARTI-SIMLA suggeriscono piuttosto di basare le decisioni allocative su parametri clinico-prognostici che valutino la “probabilità di superare l’attuale condizione critica con il supporto delle cure intensive”6. Questa si dovrà basare sulla valutazione globale del paziente tramite parametri quali numero e tipo di comorbilità, stato funzionale pregresso e fragilità rilevanti rispetto alla risposta alle cure, gravità del quadro clinico attuale e presumibile impatto dei trattamenti intensivi. In aggiunta, la volontà del paziente ha un ruolo fondamentale nella decisione sull’inizio o la continuazione del trattamento. In maniera simile, il documento dell’associazione tedesca DIVI sosteneva che la decisione potesse essere presa solo dopo la valutazione, in ordine, della necessità del trattamento di terapia intensiva, delle prospettive cliniche di successo individuali del paziente, da valutare secondo la Clinical Frailty Scale, e del consenso informato9.

Se un vasto consenso sulla legittimità dei criteri sostanziali è difficilmente raggiungibile, i criteri procedurali paiono meno controversi. Questi sono volti a dare legittimazione alla scelta di allocazione tramite la regolamentazione del processo decisionale. Ad esempio, garantire che la scelta sia condivisa da un team interdisciplinare, e non da un singolo professionista, permette una migliore valutazione di tutti gli elementi del caso concreto e l’elaborazione di una decisione più equilibrata e maggiormente rispettosa del principio bioetico di giustizia. Secondo il documento SIAARTI-SIMLA, la collegialità contribuisce ad interpretare i criteri oggettivamente, anche nel rispetto dei principi bioetici di beneficenza e non maleficenza. Inoltre, è da rispettare il principio di trasparenza: il processo decisionale deve essere basato su criteri precedentemente concordati e chiaramente esplicitati. Le responsabilità decisionali devono essere chiarite in anticipo e il risultato della decisione deve essere documentato e comunicato agli interessati.

Uno degli obiettivi principali del controverso documento SIAARTI era proprio la trasparenza verso cittadini e pazienti. Sulla necessità di massima trasparenza dei criteri insisteva anche il Comitato Nazionale per la Bioetica nel suo parere su “Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica”15.

Dal punto di vista giuridico, questo principio procedurale è essenziale.

In primo luogo, la trasparenza garantisce la partecipazione democratica della cittadinanza sotto forma di consapevolezza del processo decisionale e di comprensione della complessità e drammaticità delle scelte allocative, contribuendo a promuovere un utilizzo più responsabile dei servizi sanitari da parte della popolazione. Rendere pubblici i criteri decisionali può risultare in un maggiore apprezzamento degli sforzi organizzativi e contribuire, riducendo gli sprechi o la richiesta di prestazioni inappropriate, a un migliore funzionamento della sanità pubblica e, così, alla sua salvaguardia.

Inoltre, la trasparenza consente di controllare che i principi costituzionali di riferimento siano rispettati nel processo decisionale16. Tra questi troviamo il diritto alla salute (art. 32 Cost.) in combinato disposto con il diritto all’eguaglianza (art. 3 Cost.) e, di conseguenza, a non subire discriminazioni ingiustificate nell’allocazione di trattamenti sanitari.

Orientare l’allocazione con strumenti giuridici

Per garantire legittimità e trasparenza all’allocazione di risorse scarse, è indispensabile ricorrere a strumenti giuridici che garantiscano la compatibilità del processo decisionale con i principi costituzionali del nostro ordinamento.

La prima questione da risolvere è quella della competenza ad adottare un quadro normativo che guidi il processo decisionale. Come notato nell’introduzione, linee guida o raccomandazioni sull’allocazione delle risorse sanitarie sono state adottate durante la pandemia principalmente da società scientifiche, associazioni mediche o comitati etici. Da una parte, la legittimità democratica di questi attori nell’ordinamento giuridico è limitata, dall’altra parte, tuttavia, questi organi dispongono delle conoscenze e dell’esperienza scientifica necessaria ad adottare criteri sostanziali.

La divisione di competenze nella scelta dei criteri decisionali da applicare al triage pandemico è stata oggetto della decisione della Corte Costituzionale Federale tedesca del dicembre 2021. La Corte ha sostenuto il dovere concreto del legislatore di intervenire per garantire i più vulnerabili contro possibili discriminazioni nell’allocazione delle risorse sanitarie divenute scarse, tramite l’adozione di misure che contengano, a discrezione del legislatore stesso, criteri sostanziali oppure garanzie procedurali11. L’intervento del legislatore in questo senso garantisce anche trasparenza del quadro normativo generale all’interno del quale le scelte di triage vengono compiute.

La necessità del rispetto del quadro normativo costituzionale e dei principi di non discriminazione si applica anche all’ordinamento italiano. Pertanto, è chiaro che le società scientifiche possano emanare le loro raccomandazioni nel rispetto dei principi giuridici e costituzionali dell’ordinamento, da applicare anche alla luce dell’interpretazione che ne offre la nostra Corte Costituzionale.

Da questo punto di vista, il procedimento con cui è stato adottato il documento SIAARTI-SIMLA è di essenziale importanza. Le due associazioni sono, infatti, tra le istituzioni legittimate a adottare linee guida vincolanti secondo l’articolo 5 della legge n. 24/2017. Le raccomandazioni hanno potuto quindi entrare a far parte del Sistema Nazionale Linee Guida dell’ISS e assumere così rilevanza giuridica vincolante17. Pertanto, il documento costituisce un ottimo esempio di riuscita integrazione tra sapere medico-scientifico ed elementi normativi legislativi.

Conclusioni

Riflettere, a distanza di oltre tre anni, sulle decisioni che, in maniera concitata, erano state adottate nelle fasi iniziali dell’emergenza pandemica offre il distacco sufficiente a poter valutare i percorsi intrapresi e la loro influenza sugli approcci allocativi attuali.

Il tempo intercorso ha posto in evidenza quanto fosse necessario stabilire criteri ragionevoli per individuare le priorità cliniche, in maniera tale da assicurare, prima di tutto, il rispetto della vita e della salute dei pazienti coinvolti: l’emergenza e la contingenza, se non presidiati da procedure operative e regole che guidino le decisioni, rischiano di privare coloro che hanno la responsabilità di adottare le scelte cliniche della lucidità necessaria e potrebbero portare a soluzioni irrazionali, arbitrarie o, semplicemente, affrettate.

Al contrario, offrire supporto a chi si trova a compiere queste scelte, permette di garantire il rispetto del principio di eguaglianza e di elaborare soluzioni eque, rispettose tanto della salute del paziente, quanto della sua irrinunciabile dimensione relazionale.

All’interno di ciascun sistema sanitario, infatti, l’obiettivo generale di curare e promuovere la salute del singolo è difficilmente scindibile dalla sua dimensione collettiva, nella quale le scelte sanitarie fatte per uno non possono che avere, anche indirettamente, un impatto sugli altri.

Tali considerazioni portano, nell’ottica della “normalizzazione” dell’attività sanitaria, a valorizzare maggiormente il criterio dell’appropriatezza delle scelte cliniche. Si tratta di un concetto che il legislatore sta tentando da tempo di portare al centro delle politiche sanitarie, con la finalità di razionalizzare la spesa pubblica per i trattamenti medici, ad esempio nel caso delle c.d. iper-prescrizioni oppure qualora non si consideri la desistenza terapeutica o l’attivazione di un percorso palliativo per pazienti che ormai faticano ad accogliere i potenziali effetti benefici dei trattamenti ricevuti.

Nonostante il codice di deontologia medica (artt. 13 e 16) imponga il rispetto dell’appropriatezza clinica nelle procedure diagnostiche e terapeutiche, il fatto che essa sia stata, in più occasioni, utilizzata dal legislatore quale criterio volto a orientare la pratica clinica, pur nel rispetto del necessario e incontestabile spazio per l’autonomia della professione medica, non è stato accolto con favore dai curanti.

La ragione sottesa alle critiche avanzate contro il c.d. Decreto appropriatezza (DM 9.12.2015, introdotto a norma del DL 78/2015) riguardavano i timori di incorrere in procedimenti di responsabilità disciplinare, civile o penale, nel caso di mancate prescrizioni di esami che sarebbero stati, invece, utili per un determinato paziente. A tal proposito, la Corte costituzionale (sentenza n. 169/2017) ha avuto l’occasione di rammentare come il legislatore non possa mai sostituirsi al professionista e che le indicazioni di appropriatezza terapeutica contenute negli atti normativi citati vadano lette come un invito al medico di motivare adeguatamente la propria decisione di discostarsi dai protocolli, rendendola trasparente, ragionevole e informata.

Le necessità imposte dall’emergenza pandemica non hanno fatto altro che evidenziare le problematiche che possono derivare da scelte terapeutiche inappropriate: in alcuni casi, addirittura, esse possono privare dei trattamenti indispensabili un paziente che avrebbe possibilità di guarigione, favorendo invece un altro che, per le proprie condizioni cliniche, non potrebbe ugualmente giovare di dette cure.

Il concetto di appropriatezza clinica non interferisce con l’incommensurabilità del valore della vita umana, né si prefigge lo scopo di paragonare due situazioni cliniche. Esso, piuttosto, consente di valutare in maniera globale e olistica la situazione clinica del singolo paziente, secondo un approccio attento a portare la persona al centro, coinvolgendola laddove possibile nelle scelte terapeutiche, nel rispetto della sua autodeterminazione.

L’appropriatezza contribuisce a rispettare il corpo e l’esistenza dei pazienti, anche nelle situazioni più estreme, poiché permette di individuare il limite a interventi diagnostici e terapeutici sproporzionati, futili e troppo invasivi, consentendo di giustificare in maniera obiettiva le ragioni alla base di una eventuale limitazione dei trattamenti o la decisione per la loro prosecuzione.

La dimensione individuale delle valutazioni operate secondo tale approccio consente, infine, in un’ottica relazionale, di pervenire ad un utilizzo più razionale e più efficiente delle risorse, con un oggettivo vantaggio nei confronti della collettività.

Conflitto di interessi: le autrici dichiarano l’assenza del conflitto di interessi.

Nota. Pur nella condivisione dei contenuti dello scritto, che costituisce il frutto di una riflessione congiunta delle autrici, i paragrafi sono così attribuiti: i paragrafi 1, 3, 6 a Lucia Busatta e i paragrafi 2, 4, 5 a Irene Domenici.

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