Per un dibattito più critico sull’aiuto medico a morire

Una prospettiva etico-clinica

ENRICO FURLAN

Gruppo di ricerca “Filosofia morale e bioetica”, Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Padova.

Pervenuto e accettato il 18 luglio 2023.

Riassunto. Il dibattito bioetico sull’aiuto medico a morire si è concentrato finora principalmente sulle ragioni filosofiche pro o contro tale pratica. Meno esplorato è invece un diverso approccio, tipico della bioetica clinica, che si propone di impostare la discussione a partire innanzitutto da una lettura approfondita della realtà socio-culturale e del contesto clinico-assistenziale in cui le domande di aiuto a morire sorgono e vengono affrontate. In questo saggio mi propongo di sviluppare questo approccio, anche con riferimento ad alcune tra le prime esperienze di gestione delle domande di suicidio medicalmente assistito presentate in Italia alle Aziende sanitarie. L’obiettivo è far emergere la complessità e i paradossi entro cui si svolge l’attuale discussione sull’aiuto medico a morire, al fine di offrire spunti di riflessione per un dibattito più critico e consapevole.

Parole chiave. Aiuto medico a morire, suicidio medicalmente assistito, eutanasia, bioetica clinica.

Toward a more critical debate on physician-assisted death. A clinical ethics perspective.

Summary. The bioethical debate on physician-assisted death has so far primarily focused on philosophical arguments for or against this practice. However, there has been limited exploration of an alternative approach, characteristic of clinical bioethics, which sets out to contextualize the discussion within a thorough analysis of the socio-cultural and healthcare environment in which requests to hasten death arise and are handled. This paper aims to develop this approach, taking into account some of the initial experiences in Italy of managing requests for physician-assisted suicide submitted to Local Healthcare Authorities. The goal is to uncover the complexities and paradoxes inherent in the ongoing discussion on physician-assisted death, with the intention of contributing to a more critical and informed debate.

Key words. Physician-assisted death, medically-assisted suicide, euthanasia, clinical bioethics.

Introduzione

La questione della giustificabilità morale e legale di eutanasia e suicidio assistito rientra a pieno titolo fra i temi classici della bioetica e del biodiritto; non a caso, da oltre mezzo secolo essa è al centro del dibattito accademico e pubblico1,2. In Italia, la discussione ha ricevuto un significativo impulso negli anni più recenti sia in seguito ai tentativi di organizzare un referendum sull’eutanasia, sia soprattutto in ragione della storica sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale3, la quale ha individuato una seppur circoscritta area di non punibilità dell’aiuto al suicidio. Il pronunciamento della Corte è particolarmente rilevante per il mondo della sanità, perché attribuisce al Servizio Sanitario Nazionale il compito di verificare la sussistenza delle condizioni che legittimano l’aiuto al suicidio e quello di definire e attuare le procedure necessarie a realizzarlo.

L’indicazione dell’aiuto al suicidio come atto che può rientrare tra i compiti legittimi dei medici – ovviamente entro le condizioni precisate dalla Corte – costituisce un profondo cambiamento non solo rispetto all’etica medica ippocratica, ma anche alla posizione tutt’oggi dominante all’interno dell’Associazione Medica Mondiale4. Data la radicalità della novità, non è sorprendente che si sia ravvivato il relativo dibattito, il quale tuttavia si è concentrato in particolare sulle opposte argomentazioni etico-filosofiche e giuridiche a favore o contro tale pratica. Esemplare in questo senso è il parere dedicato al tema dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) – e intitolato Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito5 – dove tali due posizioni sono ampiamente illustrate e raccolgono la grande maggioranza delle adesioni dei componenti del comitato. Anche nelle riviste mediche – tra cui la stessa Rivista Italiana di Cure Palliative6 – e nei congressi di alcune associazioni di professionisti della salute si è affrontata la questione, adottando per lo più tale prospettiva dicotomica degli argomenti pro o contro il suicidio medicalmente assistito, e più in generale pro o contro l’aiuto medico a morire.

Meno spazio è stato invece riservato a un diverso approccio argomentativo, pur presente anche se in forma minoritaria all’interno del succitato parere del Comitato Nazionale per la Bioetica. Tale approccio – difeso nel parere del CNB da Canestrari e Da Re5 e in letteratura da Viafora7 – invita ad affrontare la questione innanzitutto a partire da una lettura approfondita della realtà storica, sociale e culturale in cui effettivamente sorgono le domande di aiuto a morire, e soprattutto da un’attenta analisi del contesto clinico-assistenziale in cui queste richieste devono essere ascoltate e gestite.

Il presente saggio intende approfondire e sviluppare proprio tale approccio – tipico della bioetica clinica8, che si propone di sviluppare la riflessione a partire dalla concretezza dei problemi –, anche con riferimento ad alcune tra le prime richieste di suicidio medicalmente assistito. Attraverso tale disamina si intende far emergere la complessità e i paradossi entro cui si svolge l’attuale discussione sull’aiuto medico a morire, al fine di offrire spunti di riflessione per un dibattito più critico e consapevole.

Lo scenario entro cui pensiamo
alle questioni di fine vita

Il contesto storico-culturale
e socio-sanitario

La questione fondamentale da mettere a fuoco per comprendere lo scenario più ampio entro cui si colloca la riflessione contemporanea sulle questioni di fine vita è data dal fatto che la morte non è più quella di un tempo. Mentre nel mondo premoderno essa giungeva quasi sempre in modo improvviso, inatteso e veloce9, a partire dalla metà del XX secolo la maggior parte dei cittadini (in particolare nei Paesi a più alto reddito, ma non solo) ha a che fare con un notevole prolungamento della fase finale, quale esito del prevalere di malattie cronico-degenerative. All’allungamento della vita media si è accompagnato infatti un progressivo aumento degli anni vissuti in condizioni di salute precarie, i quali si attestano oggi a livello mondiale su una media di dieci10. Tale quadro ci pone di fronte a un primo paradosso, evidenziato con acutezza dalla sociologa statunitense Lyn Lofland sin dalla fine dagli anni ’70 del secolo scorso11: per gran parte della storia dell’umanità gli esseri umani hanno avuto grande familiarità con l’esperienza della morte degli altri, mentre il confronto con la propria fase finale e con la propria morte aveva le caratteristiche di un incontro fugace (a mere encounter); al contrario, noi moderni sperimentiamo sempre meno nel quotidiano la morte degli altri – poiché essa è relegata ai margini della vita sociale – ma stiamo diventando consapevoli che con tutta probabilità l’esperienza del nostro proprio declino e della nostra morte sarà una storia lunga e seria (a full-blown affair).

Inoltre, nei Paesi ad alto reddito la gestione della fase finale e della morte è quasi interamente passata dall’ambito della famiglia e della comunità all’ambito ospedaliero o comunque sanitario, che per sua impostazione tende a ridurre questi eventi esistenziali a problemi clinici, da gestire “igienicamente”12 con il massimo dell’efficienza. Va riconosciuto, peraltro, che le parole e i simboli con cui la tradizione culturale e religiosa dava senso alla fase finale della vita, nonché i riti con cui la gestiva, si sono progressivamente erosi in virtù del processo di secolarizzazione. Ciò ha come conseguenza che il prolungamento del morire si è materializzato in un momento storico in cui sembriamo più culturalmente sguarniti nell’affrontare in modo significativo tale fase delle nostre vite13. Questo spiega l’imbarazzo e il silenzio che nella nostra cultura aleggiano sul tema della morte, e la solitudine che non di rado circonda i morenti14.

Si aggiunga poi che i nostri sistemi socio-sanitari – pensati per gestire l’acuzie – non sono certo adeguatamente attrezzati e organizzati per supportare pazienti con patologie neurodegenerative o incurabili: di qui, il paradosso10 di una medicina ipertecnologica che scivola spesso nell’overtreatment – specialmente ma non unicamente nelle situazioni di fine vita – mentre al contempo i sistemi socio-sanitari non sono in grado di prendere adeguatamente in carico le persone malate con bisogni complessi, di soddisfare il crescente bisogno di accompagnamento palliativo per i morenti o di garantire un supporto assistenziale adeguato alle famiglie gravate dall’onerosa gestione di persone fragili non autosufficienti e affette da pluri-patologie. I numeri in questo senso sono impietosi: a fronte della progressiva medicalizzazione della morte e del morire, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che a livello mondiale solo il 14% dei malati che ha bisogno di cure palliative vi abbia effettivo accesso15. E anche se nel contesto italiano è cresciuto negli ultimi due decenni il numero degli hospice e dei servizi domiciliari, oltre che la sensibilità rispetto alle cure palliative, ancor oggi il sistema è impari rispetto ai bisogni16. Si tratta, peraltro, di bisogni destinati a crescere ulteriormente, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e del cambiamento della struttura delle famiglie: l’Istat prevede infatti che entro il 2040 i nuclei familiari formati da una sola persona raggiungeranno il 40% (già oggi sono un terzo del totale), con una significativa quota costituita da anziani.

Si consideri infine che tutti questi impellenti bisogni assistenziali e di accompagnamento si esprimono in una fase di crisi conclamata del nostro sistema socio-sanitario nazionale, pubblico e universalistico. Tale crisi ha ragioni strettamente economiche, dovute alla costante crescita dei costi e all’incapacità di rivedere criticamente le attuali scelte di spesa, stabilendo priorità basate sulle evidenze; ma è causata anche dalla stanchezza e dalla demotivazione dilagante tra i professionisti della salute, che spesso lavorano in reparti con personale insufficiente, sono chiamati a coprire turni spossanti e sono sottopagati rispetto ai loro pari in Paesi europei con una situazione economica paragonabile alla nostra. Di qui il fenomeno della fuga dalla sanità pubblica.

Se ora consideriamo nel loro complesso questi fattori storici, sociali, culturali, sanitari ed economici, ci è possibile cogliere l’origine di un altro paradosso che marca lo scenario entro cui si svolge l’attuale dibattito sulle questioni di fine vita: viviamo in una temperie culturale che promuove e difende un modo sempre più personalizzato di morire – come diretta prosecuzione delle rivendicazioni dei diritti individuali propri della modernità –, ma all’interno di un contesto che non offre alla maggior parte dei cittadini le condizioni per una scelta che sia autenticamente in prima persona10,11.

La legge 219/2017, una bella irrealizzata

In tale quadro, l’approvazione della legge 219/2017 (su consenso informato e biotestamento)17 è stata cruciale: le norme ivi contenute danno infatti un’importante risposta a molti dei bisogni, delle paure e delle istanze suscitati dal nuovo scenario in cui ci si ammala e si muore al tempo della tecnica e del prolungamento della fase finale.

Frutto del dialogo e della convergenza fra tradizioni culturali diverse18, la legge appare equilibrata dal punto di vista dei principi e dell’impostazione, offre strumenti per la gran parte utili ed efficaci, e consente di affrontare e gestire la quasi totalità delle situazioni di fine vita. Dal punto di vista ideale, la 219/2017 valorizza da un lato le istanze della tradizione liberale, con la sottolineatura della centralità dell’autodeterminazione e del consenso19, collocandole tuttavia sullo sfondo della relazione di cura e fiducia tra paziente ed équipe curante20, la cui rilevanza è enfatizzata in particolare dalla tradizione personalista o dalle prospettive riconducibili all’etica della cura21. Per questi ultimi approcci, infatti, è solo all’interno di una significativa relazione di cura e di fiducia che in ambito sanitario possono darsi le precondizioni per l’esercizio dei diritti individuali (ad es., informazione e consenso) e per l’efficace utilizzo degli strumenti introdotti dalla legge nell’ordinamento italiano, quali il fiduciario, le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), la pianificazione condivisa delle cure (PCC)22. L’importanza decisiva della relazione di cura e di fiducia emerge con particolare forza nel caso della presa in carico di persone non in grado di autodeterminarsi in modo autonomo, come i minori, i cosiddetti “incapaci”, oppure i pazienti in situazioni di temporanea incapacità. La legge, inoltre, riprende e valorizza la legislazione precedente sulle cure palliative (in particolare, la 38/2010)23 e sottolinea come, in certe situazioni, i curanti possono ricorrere alla sedazione palliativa continua. Se si aggiunge che la 219/2017 sancisce esplicitamente la possibilità di rimodulare il progetto di cura, non iniziando o sospendendo trattamenti ritenuti sproporzionati, si capisce perché essa sia stata salutata con grande favore e speranza da chi ha la responsabilità di prendere decisioni rilevanti che riguardano persone alla fine della vita.

Tuttavia, nonostante i suoi molti pregi e pur essendo in vigore da oltre 5 anni, la legge non è ancora adeguatamente conosciuta dalla maggior parte dei professionisti della salute24 e dalla popolazione. Ad esempio, pochi medici – sia di medicina generale, sia ospedalieri – conoscono e sanno applicare con sicurezza la PCC, lo strumento più adeguato e flessibile per gestire i percorsi di fine vita. Molti sanitari non sanno quali importanti funzioni possa svolgere il fiduciario (o la persona di fiducia), né hanno ricevuto una formazione adeguata su come impostare la conversazione, difficile ma necessaria, sulle scelte di fine vita10. Raramente, poi, i cittadini che scelgono di redigere le DAT lo fanno dopo un dialogo approfondito con il loro medico curante, e si limitano invece a compilare moduli prestampati che recuperano online, rischiando così di offrire indicazioni difficilmente utilizzabili dai sanitari nel momento del bisogno. In più, come già si è detto, le cure palliative non sono uniformemente presenti su tutto il territorio nazionale, e anche là dove sono attive non sempre sono conosciute adeguatamente dai professionisti della salute che dovrebbero proporle ai loro assistiti e attivarle tempestivamente. Sempre in tema di cure palliative e terapia del dolore, va sottolineato che alcune competenze di base dovrebbero far parte del bagaglio culturale e tecnico di ciascun professionista della salute, così da riservare ai casi più complessi il ricorso a palliativisti esperti. Purtroppo, solo di recente (e in poche Università) le cure palliative sono entrate a far parte del curriculum universitario degli aspiranti medici ed è stata attivata una scuola di specializzazione in Medicina e Cure Palliative.

Ci troviamo quindi entro un quadro legale che ha scelto di depenalizzare in certi casi l’aiuto al suicidio, affidandone la delicata gestione proprio a quel sistema socio-sanitario che non è ancora riuscito a realizzare, se non in minima parte, l’enorme potenziale della 219/2017 (la quale, lo si è detto sopra, offre utili strumenti per gestire la quasi totalità delle situazioni di fine vita). Siamo quindi caduti nel paradosso – paventato dalla stessa Corte Costituzionale – “di non punire l’aiuto al suicidio senza avere prima assicurato l’effettività del diritto alle cure palliative” (Sentenza 242/2019, Considerato in diritto, § 2.4)3, per lo meno per una larga parte dei cittadini.

L’impreparazione a gestire il desiderio di morire

Alla complessità fin qui delineata va aggiunto per lo meno un ulteriore tassello, ossia la questione di come accogliere e decodificare il desiderio di morire e la richiesta di accelerare la morte.

Che nella fase finale della vita o nell’evoluzione di malattie particolarmente debilitanti i pazienti sviluppino un desiderio di accelerare la morte è cosa nota da decenni25-31. Ascoltare questo desiderio di morire e farsi carico di tale richiesta di accelerare la morte rientrano dunque tra i compiti ineludibili di ogni serio accompagnamento delle persone alla fine della vita32. Tuttavia, capire cosa significhi esattamente tale desiderio non è semplice. Alcune interessanti ricerche empiriche di tipo qualitativo33-35 suggeriscono infatti che si tratta di un desiderio complesso, oscillante e ambivalente, e che solo nella minoranza dei casi esso coincide con la richiesta da parte del paziente di ottenere l’eutanasia o il suicidio assistito. Inoltre, queste stesse ricerche evidenziano come tra le cause più ricorrenti del desiderio di morire vi siano la paura o la percezione di essere di peso36 e il sentire che la propria vita non ha più significato per sé o per altri. Si tratta evidentemente di situazioni che richiedono un notevole impegno interpretativo da parte dei curanti.

Ebbene, abbiamo attualmente professionisti della salute in grado di accogliere e decodificare il desiderio di morire e la richiesta di accelerare la morte37? Come gestire poi il problema che l’eventuale accoglimento di tale domanda possa essere vissuto dal paziente come una conferma della mancanza di valore o di senso della propria vita38,39? Ci siamo dotati di strumenti che consentono di svolgere una verifica sostanziale, e non meramente formale, delle condizioni che portano una persona a chiedere di essere aiutata a morire?

Si tratta evidentemente di domande di cruciale importanza, a cui sarebbe importante offrire una risposta convincente prima di assumersi una responsabilità così seria come quella di aiutare una persona a togliersi la vita – e ciò sia a livello di comunità civile, sia di sistema socio-sanitario, sia di singolo professionista della salute che dia la sua disponibilità a compiere l’atto.

Da questo punto di vista, alcuni degli sviluppi degli ultimi mesi sembrano particolarmente problematici. Ad esempio, la scelta di affidare ai Comitati etici per la sperimentazione la gestione delle domande di aiuto al suicidio appare ispirata a preoccupazioni di tipo burocratico, invece che sostanziale. Viene infatti privilegiata la presenza di questa tipologia di Comitati etici su tutto il territorio nazionale, piuttosto che la loro effettiva competenza sul tema, e si evita così di assumersi l’onere di istituire e formare i Comitati etici per la pratica clinica, che sarebbero senz’altro i più adeguati a svolgere tale compito. Questa decisione costituisce peraltro un tradimento dello spirito della succitata sentenza della Corte Costituzionale, che richiede l’intervento di “un organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità” (Sentenza 242/2019, Considerato in diritto, § 5)3. Altrettanto problematico risulta poi il modello di proposta di legge regionale dell’Associazione Luca Coscioni (“Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019”)40. Pur ispirato alla volontà di assicurare tempi certi ai pazienti che chiedono l’aiuto al suicidio, così da garantirne l’autodeterminazione, esso si concretizza in un percorso che mira a ridurre a venti giorni il processo di verifica del possesso dei requisiti per poter ottenere il suicidio medicalmente assistito. Non traspare dal modello di progetto di legge proposto alcuna tensione a creare le condizioni per quella relazione di cura e di fiducia che la stessa legge 219/2017 indica come sfondo necessario all’espressione di un’autentica autonomia, né emerge alcuna indicazione su come garantire la necessaria decodifica della richiesta di aiuto a morire. Vi è dunque il rischio che una norma intesa come strumento di libertà si trasformi, nelle attuali condizioni, in procedura burocratica che non realizza la presa in carico di cui le persone avrebbero bisogno e diritto, lasciandole di fatto sole.

Due esempi di richiesta di suicidio medicalmente assistito

Può essere ora utile riprendere nel loro complesso le considerazioni fin qui esposte, rileggendole però alla luce di un paio tra le prime esperienze di presa in carico di richieste di suicidio medicalmente assistito. Verranno perciò narrate due storie, a partire dalle quali saranno svolte ulteriori riflessioni. Tali storie sono ispirate da vicende reali, ma sono state opportunamente modificate per garantire l’anonimato, senza tuttavia alterarne la sostanza etico-clinica.

La storia di Daniele

Daniele ha circa settant’anni, è vedovo e senza figli. È affetto da una patologia osteoarticolare che determina una dolorosa pressione del torace sui polmoni. Poiché non ha una rete familiare di supporto, viene aiutato a domicilio da alcuni vicini e da un paio di badanti. Spossato per la sua condizione senza prospettive, Daniele contatta un’associazione di promozione sociale che lo aiuta a presentare domanda di suicidio medicalmente assistito presso l’Azienda sanitaria di residenza.

Il direttore sanitario di quest’ultima attiva il Comitato etico locale, incaricandolo di occuparsi della richiesta. Il comitato si organizza prontamente e invia una sua rappresentanza a incontrare il paziente, il quale nel frattempo è stato trasferito in hospice, dove dai colloqui con la psicologa della struttura emerge un quadro di solitudine.

Il team inviato dal Comitato etico a incontrare Daniele è composto da quattro persone: un medico legale, una intensivista con esperienza in cure palliative, una psicologa clinica e un rappresentante del volontariato. Il colloquio avviene dopo pochi giorni e dura oltre un’ora. I partecipanti riferiscono di un incontro autentico, profondo, intenso, in cui il paziente ha condiviso la sua sofferenza per la pressione al torace, ma ha anche raccontato di non essere stato a conoscenza – prima del ricovero in hospice – delle opportunità palliative a sua disposizione. La psicologa e il resto del team non riscontrano angoscia profonda e disperazione; trovano anzi Daniele in una fase di dubbio e riconsiderazione rispetto alla domanda di suicidio medicalmente assistito. Gli assicurano comunque – come da sua richiesta – la visita a breve della commissione tecnica per la verifica delle 4 condizioni previste dalla sentenza 242/2019. Nei giorni immediatamente successivi, tuttavia, a causa dell’aggravamento dei problemi respiratori, Daniele viene sedato e muore in hospice senza sofferenza.

La storia di Marta

Marta è una cinquantenne, affetta da qualche anno da una patologia neurodegenerativa. Con l’aiuto di una nota associazione, fa pervenire all’Azienda sanitaria di residenza la richiesta di suicidio medicalmente assistito. Come previsto dalla sentenza 242/2019, viene nominata una commissione incaricata di incontrare e valutare la paziente. La commissione è composta da medici con diverse competenze e da uno psicologo.

Durante l’incontro, emerge come la paziente sia dipendente da vari trattamenti di sostegno vitale, ma non presenti un dolore fisico significativo. Dal suo racconto, risulta che l’origine della domanda di suicidio medicalmente assistito è la paura di trovarsi in futuro prigioniera di quella situazione, senza poterne uscirne. Il desiderio di Marta è di predisporre per tempo la documentazione da usare in caso di aggravamento. Emerge inoltre che la paziente non era stata informata della possibilità di redigere, sulla base della legislazione vigente, una PCC, né della possibilità di chiedere e ottenere il distacco dai vari supporti di sostegno vitale, previa sedazione. Ricevute queste informazioni, Marta è rasserenata all’idea di poter pianificare il suo percorso di cura assieme ai curanti e di poter eventualmente sospendere i diversi trattamenti.

La valutazione psicologica non riscontra un desiderio di morire in tempi brevi; al contrario, la paziente manifesta la volontà di organizzare un periodo di vacanza. Dà inoltre il consenso a ricevere le cure funzionali al mantenimento del miglior grado di benessere compatibile con la sua condizione.

Viene quindi redatta una PCC e avviato un progetto di cure palliative domiciliari. Cade invece la richiesta di suicidio medicalmente assistito.

Cosa ci insegnano queste storie

Una prima osservazione che si può proporre a partire dalle storie di Daniele e Marta è che in entrambi i casi, pur a fronte di patologie complesse e progressivamente ingravescenti, non era stata realizzata una presa in carico all’altezza della complessità dei bisogni assistenziali ed esistenziali dei pazienti. La richiesta di aiuto al suicidio è dunque scattata prima che i pazienti fossero stati adeguatamente informati delle diverse opzioni (anche palliative) a loro disposizione, prima che si discutesse della possibilità di rimodulazione terapeutica e di PCC, prima che venissero indagate con un minimo di competenza le ragioni della richiesta di aiuto a morire. Il paradosso è che un’accurata presa in carico della situazione complessiva di Daniele e Marta – da parte di un team multidisciplinare, composto da persone esperte e capaci di ascolto ed empatia – è avvenuta solo dopo che era stata presentata la domanda di aiuto al suicidio. Anzi, solo perché era stata presentata tale domanda. A tal proposito, mi torna alla mente la provocatoria testimonianza di un cappellano ospedaliero di Lovanio (Belgio) – durante una conferenza di una quindicina d’anni fa – in cui egli aveva rivelato di suggerire ai pazienti di richiedere l’eutanasia quale mezzo più sicuro per una tempestiva presa in carico multidisciplinare: se sei un malato “normale”, devi rassegnarti infatti alle lentezze e inefficienze di un sistema burocraticamente macchinoso; se invece fai domanda di aiuto al suicidio, allora si attiva la direzione aziendale, si mette in preallarme il Comitato etico, viene a incontrarti una commissione composta da diversi professionisti.

Qui emerge in filigrana una dinamica inquietante spesso all’opera in ambito socio-sanitario: nell’epoca della medicina prestazionale, i vari professionisti compiono ciascuno il proprio singolo atto, la propria prestazione, ma di rado esiste una figura che imposti complessivamente il progetto di cura della persona malata, dopo un’accurata lettura dei suoi bisogni. In tali condizioni di mancata presa in carico, a fronte di situazioni di particolare vulnerabilità, definire la richiesta di suicidio medicalmente assistito come una figura di libertà è poco credibile. Inoltre, lo stesso aiuto medico al suicidio rischia di diventare una fra le tante prestazioni, uno dei vari trattamenti che qualche medico si troverà a erogare, seguendo i relativi procedimenti e protocolli, magari senza aver mai incontrato il paziente a cui fornisce i medicinali per togliersi la vita. Tale situazione dovrebbe interrogare e preoccupare anche i sanitari che non hanno un’obiezione di principio all’aiuto medico a morire e che non escludono di poter offrire la propria disponibilità a essere coinvolti nel processo di suicidio assistito. Infatti, come potrebbero – in coscienza – compiere un atto così rilevante e irreversibile, al di fuori di un contesto che garantisce innanzitutto che abbiamo fatto ogni sforzo per aiutare le persone a vivere in modo consapevole e dignitoso?

Una seconda riflessione che sorge dalle vicende di Daniele e Marta riguarda i Comitati etici e le commissioni incaricate di incontrare i pazienti. Nei due casi che abbiamo considerato, l’attivazione del comitato e la nomina di professionisti competenti all’interno delle commissioni sono state evidentemente possibili grazie a una storia pregressa di formazione in bioetica clinica. Gli incontri con i pazienti sono stati ispirati da una tensione etica sostanziale, e non si sono ridotti ad atti meramente formali: c’è stato infatti ascolto, dialogo, spiegazione delle varie opzioni, co-costruzione di un percorso condiviso. La testimonianza di chi vi ha partecipato suggerisce che questi stessi incontri possano aver avuto una funzione “terapeutica” e che certamente hanno permesso a Daniele e Marta di rivalutare la propria situazione complessiva, le proprie prospettive e la stessa richiesta di essere aiutati a morire. Qualora invece tali organismi – magari privi di esperienza e competenze adeguate – dovessero limitarsi a verificare formalmente la sussistenza o meno delle quattro condizioni previste dalla Corte Costituzionale nella 242/2019, allora più che a Comitati etici saremmo di fronte a comitati “cosmetici”.

Un’ultima considerazione può essere svolta a proposito delle associazioni che si propongono di supportare i pazienti nella presentazione dell’istanza di suicidio medicalmente assistito. Si tratta di un’attività legittima e originata comprensibilmente dalla rabbia nel constatare le lungaggini burocratiche e le traversie con cui si sono scontrati i primi pazienti che hanno fatto domanda di aiuto medico a morire. Tuttavia, aiutare un paziente a presentare una domanda di aiuto al suicidio, senza aver prima verificato se la persona è stata davvero presa in carico in modo adeguato, appare profondamente discutibile. Sembra dunque doveroso da parte di queste associazioni un ripensamento del protocollo di azione dei propri attivisti, sia per dissipare sospetti di strumentalizzazione dei malati, sia soprattutto per evitare il paradosso di aiutare una persona a chiedere di essere aiutata a morire, senza essersi prima accertati se essa è stata messa in condizione di affrontare con dignità la sua malattia.

Conclusioni

Il percorso delineato in questo saggio ha cercato di far emergere l’insufficienza di una discussione sull’aiuto medico a morire che si concentri unicamente sulle opposte argomentazioni pro o contro tale pratica, e la necessità di una attenta analisi del contesto entro cui sorgono e vengono gestite le domande di suicidio medicalmente assistito.

La pur breve ricostruzione dello scenario storico-sociale e dell’attuale condizione del servizio socio-sanitario, nonché la presentazione di alcune tra le prime esperienze di gestione di domande di aiuto a morire, hanno fatto emergere complessità e paradossi di cui tutti dovrebbero tenere conto, a prescindere dalla propria posizione teorica sulla giustificabilità morale e legale dell’aiuto medico a morire.

Lo scenario tratteggiato suggerisce poi la necessità di concentrarsi innanzitutto su un ampio sforzo comunitario di ripensamento del modo in cui ci prendiamo cura dei pazienti nella fase finale della vita e del modo in cui offriamo supporto alle loro famiglie e ai caregiver. Se infatti non riusciremo a tenere insieme le istanze di libertà e dignità con l’attenzione ai bisogni di comunità e supporto41 espressi da persone in situazione di peculiare vulnerabilità, allora il pur importante dibattito sulle ragioni etico-filosofiche pro o contro l’aiuto medico a morire rischia di rimanere avulso dalla realtà.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitti di interessi.

Bibliografia

1. Young R. Voluntary Euthanasia. 2022. In: The Stanford Encyclopedia of Philosophy. Metaphysics Research Lab, Stanford University. Summer 2022. [Available from: https://plato.stanford.edu/archives/sum2022/entries/euthanasia-voluntary/].

2. Brock DB. Life-Sustaining Treatment and Euthanasia: Ethical Aspects. In: Jennings B (ed.). Bioethics 4th edition. Farmington Hills, Mich.: Macmillan Reference; 2014: p. 1839-49.

3. Corte Costituzionale. Sentenza n. 242 anno 2019.

4. World Medical Association. WMA Declaration on Euthanasia and Physician-Assisted Suicide 2019 [Available from: https://www.wma.net/policies-post/declaration-on-euthanasia-and-physician-assisted-suicide/].

5. Comitato Nazionale per la Bioetica. Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito. 2019 [Available from: https://bioetica.governo.it/it/pareri/pareri-e-risposte/riflessioni-bioetiche-sul-suicidio-medicalmente-assistito/].

6. Orsi L. Aiuto medico a morire: una questione su cui riflettere a fondo. Rivista italiana di cure palliative 2019; 21: 10.

7. Viafora C. Fine vita: un’istruzione delle questioni etiche più dibattute. In: Viafora C, Furlan E, Tusino S (eds.). Questioni di vita. Un’introduzione alla bioetica. Milano: FrancoAngeli, 2019; p. 319-44.

8. Viafora C. La cura e il rispetto. Il senso della bioetica clinica. Milano: Franco Angeli, 2023 (in corso di pubblicazione).

9. Ariès P. Storia della morte in Occidente. Milano: BUR, 1978.

10. Sallnow L, Smith R, Ahmedzai SH, et al. Report of the Lancet Commission on the Value of Death: bringing death back into life. Lancet 2022; 399: 837-84.

11. Lofland LH. The craft of dying. The modern face of death. 40yh Anniversary Edition. Cambridge, Massachusetts: The MIT Press, 2019.

12. Illich I. Nemesi medica. L’espropriazione della salute. Milano: red!, 2013.

13. Viafora C. L’etica dell’accompagnamento: un altro sguardo sulla fase terminale. In: Viafora C, Gaiani A (eds.). A lezione di bioetica Temi e strumenti. 2a ed. Milano: FrancoAngeli, 2015: p. 295-312.

14. Elias N. La solitudine del morente. Bologna: il Mulino, 1985.

15. WHO. Palliative care [Available from: https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/palliative-care].

16. Ministero della Salute. Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. 2019 [Available from: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2814_allegato.pdf].

17. Legge nr. 219 del 2017. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.

18. Comitato Scientifico Fondazione Cortile dei Gentili. Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita. Recenti Progressi in Medicina. 2015;106(11):548-50.

19. Zatti P, Piccinni M. Consistenza e fragilità del diritto in materia di relazione di cura. In: Alpa G, editor. La responsabilità sanitaria Commento alla L 8 marzo 2017, n 24. 2a ed.. Pisa: Pacini; 2022. p. 218-49.

20. Furlan E. Lo spirito della legge. I presupposti etico-antropologici della 219/2017. In: Gaudino L (ed.). La relazione di cura tra legge e prassi Un’indagine comparativa tra Italia, Francia, Spagna e Inghilterra. Pisa: Pacini, 2021: p. 229-40.

21. Tusino S. L’etica della cura. Un altro sguardo sulla filosofia morale. Milano: FrancoAngeli, 2021.

22. Busatta L, Furlan E. Consenso informato: nuovo paradigma normativo della medicina? In: Viafora C, Furlan E, Tusino S (eds). Questioni di vita. Un’introduzione alla bioetica. Milano: FrancoAngeli, 2019: p. 242-68.

23. Legge nr. 38 del 2010. Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.

24. Gaudino L (ed.). La relazione di cura tra legge e prassi. Un’indagine comparativa tra Italia, Francia, Spagna e Inghilterra. Pisa: Guerini, 2021.

25. Block SD, Billings JA. Patient requests to hasten death. Evaluation and management in terminal care. Arch Intern Med 1994; 154: 2039-47.

26. Monforte-Royo C, Villavicencio-Chavez C, Tomas-Sabado J, Balaguer A. The wish to hasten death: a review of clinical studies. Psycho-oncology 2011; 20: 795-804.

27. Monforte-Royo C, Villavicencio-Chavez C, Tomas-Sabado J, Mahtani-Chugani V, Balaguer A. What lies behind the wish to hasten death? A systematic review and meta-ethnography from the perspective of patients. PloS one 2012; 7: e37117.

28. Monforte-Royo C, Sales JP, Balaguer A. The wish to hasten death: Reflections from practice and research. Nurs Ethics 2016; 23: 587-9.

29. Rodriguez-Prat A, Balaguer A, Booth A, Monforte-Royo C. Understanding patients’ experiences of the wish to hasten death: an updated and expanded systematic review and meta-ethnography. BMJ Open 2017; 7: e016659.

30. Monforte-Royo C, Crespo I, Rodriguez-Prat A, Marimon F, Porta-Sales J, Balaguer A. The role of perceived dignity and control in the wish to hasten death among advanced cancer patients: a mediation model. Psycho-oncology 2018; 27: 2840-6.

31. Belar A, Martinez M, Centeno C, et al. Wish to die and hasten death in palliative care: a cross-sectional study factor analysis. BMJ Support Palliat Care 2021; bmjspcare-2021-003080. doi: 10.1136/bmjspcare-2021-003080. Epub ahead of print. PMID: 34649837.

32. Viafora C, Ohnsorge K. Morire accompagnati: un altro sguardo sulla fase terminale. In: Viafora C, Furlan E, Tusino S, editors. Questioni di vita Un’introduzione alla bioetica. Milano: FrancoAngeli, 2019: p. 345-64.

33. Ohnsorge K, Keller HR, Widdershoven GA, Rehmann-Sutter C. ‘Ambivalence’ at the end of life: how to understand patients’ wishes ethically. Nurs Ethics 2012; 19: 629-41.

34. Ohnsorge K, Gudat H, Rehmann-Sutter C. What a wish to die can mean: reasons, meanings and functions of wishes to die, reported from 30 qualitative case studies of terminally ill cancer patients in palliative care. BMC Palliat Care 2014; 13: 38.

35. Ohnsorge K, Gudat H, Rehmann-Sutter C. Intentions in wishes to die: analysis and a typology--a report of 30 qualitative case studies of terminally ill cancer patients in palliative care. Psycho-oncology 2014; 23: 1021-6.

36. Rodriguez-Prat A, Balaguer A, Crespo I, Monforte-Royo C. Feeling like a burden to others and the wish to hasten death in patients with advanced illness: a systematic review. Bioethics 2019; 33: 411-20.

37. Ordine degli Psicologi del Lazio (2023). Sofferenza e desiderio di morte. Le prassi dello psicologo, medico, infermiere a sostegno della persona, a cura del Tavolo di lavoro [Available from: https://ordinepsicologilazio.it/post/sofferenza-morte].

38. Canestrari S. I tormenti del corpo e le ferite dell’anima: la richiesta di assistenza a morire e l’aiuto al suicidio. In: Marini FS, Cuppelli C (eds.). Il caso Cappato. Riflessioni a margine dell’ordinanza della Corte costituzionale n 207 del 2018. Napoli: E.S.I., 2019: p. 37-60.

39. Canestrari S. Ferite dell’anima e corpi prigionieri. Suicidio e aiuto al suicidio nella prospettiva di un diritto liberale e solidale. Bologna: Bononia University Press, 2021.

40. Associazione Luca Coscioni. Proposta di legge regionale “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019” [Available from: https://www.associazionelucacoscioni.it/wp-content/uploads/2023/01/25.01.23_Nuova-pdl-suicidio-assistito.docx.pdf].

41. Ignatieff M. The needs of strangers. New York: Picador, 1984 (trad. it. I bisogni degli altri. Saggio sull’essere uomini tra individualismo e solidarietà. Bologna: Il Mulino, 1986).