Le cure palliative pediatriche nel mondo:
analisi della letteratura

ROBERTO SCARANI

Unità Operativa di Cure Palliative e Terapia del Dolore, ASST Nord Milano, Milano.

Pervenuto il 17 dicembre 2020. Accettato il 23 dicembre 2020.

Riassunto. Le cure palliative pediatriche (CPP) sono definite come “L’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino che comprende il supporto attivo alla famiglia”, come un’unica unità di cura. Sono una realtà che presenta differenza significative rispetto alle cure palliative dell’adulto e necessita di interventi specialistici adeguati. Si tratta infatti di una popolazione estremamente eterogenea per tipo di patologia, prevalenza, età di insorgenza della patologia, durata della prognosi, tempistiche e intensità degli interventi, bisogni fisici, spirituali, comunicativi, sociali. Si stima che nel mondo vi siano oltre 20 milioni di bambini con bisogni di cure palliative, e di questi 8 milioni necessitano di cure palliative specialistiche. Lo sviluppo delle CPP nel mondo è tuttora eterogeneo e frammentato, con molti gap da colmare soprattutto nell’accesso alle cure, nella qualità della formazione degli operatori sanitari e nelle disparità di accesso ai servizi tra paesi ad alto reddito e quelli a reddito medio-basso. D’altra parte si registra una grande vitalità in molte parti del mondo da parte di chi cerca di ampliare i servizi e la cultura delle CPP, rendendolo un universo in rapida e continua evoluzione. Questo lavoro disegna una mappa delle cure palliative nel mondo, in Europa ed in Italia, analizzando criticità e barriere che limitano il diffondersi delle CPP. Vengono forniti spunti bibliografici per chi intende approfondire la propria conoscenza riguardo alle cure palliative rivolte all’età pediatrica, senza la pretesa di una revisione sistematica di tutta la letteratura ma piuttosto con l’intendo di diffonderne la cultura.

Parole chiave. Cure palliative pediatriche, organizzazione sanitaria, sviluppo, cultura, barriere.

Pediatric palliative care in the world: analysis of literature.

Summary. The WHO defines pediatric palliative care (PPC) as “The active total care of the child’s body, mind and spirit and also involves giving support to the family”. Children’s palliative care is an evolving specialty that differs significantly from palliative care for adults in several ways: 1) the number of children dying is smaller and many of the individual conditions are extremely rare with diagnoses specific to childhood or young adulthood; 2) the time scale of children’s illnesses differs to that of adults: therefore, palliative care may be required for only a few days, months or can in some cases extend over many years; 3) the focus of care is not only the child, but it also embraces the whole family. Parents and siblings are especially vulnerable; 4) the children continue to develop physically, emotionally and cognitively and CPP must be responsive to these changes, both in handling medications and in tailoring communication. The population of children that requires PPC is divided into 4 main groups of life-limiting or life-threatening conditions and includes an extremely heterogeneous range of disease. Neoplasms account for only 25% of patients. In 2017, a study estimated that globally as many as 21 million neonates, infants, children, and adolescents may benefit from the palliative care approach. Of this, eight million would require some degree of specialized pediatric palliative care. The accessibility to PPC varies widely across the world and there is now a growing awareness of the unmet need for PCC worldwide. The gap between high-income countries and middle-to-low-income countries is of particular concern. On the other hand, PPC is a relatively new speciality and it’s continuously and rapidly evolving worldwide. This work draws the map of PPC provision in the world, in Europe and in Italy, and analyses the main challenges and barriers to the development of PCC Services. The aim is to empower knowledge of PCC, focusing on reading suggestions.

Key words. Pediatric palliative care, health organization, development, culture, barriers.

Introduzione e background

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definiva già nel 1998 le cure palliative pediatriche (CPP) come “L’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino che comprende il supporto attivo alla famiglia”1. Nel 2018 la International Association for Hospice and Palliative Care ha proposto una nuova ed estesa definizione di cure palliative (CP) che integra il mondo degli adulti e quello delle CPP2, tuttavia questa definizione non è stata fatta propria dalla European Association of Palliative Care (EAPC) e da molte altre organizzazioni a livello nazionale e internazionale, poiché non favorisce lo sviluppo delle CPP come una specialità con la propria specificità e i propri bisogni di ricerca, pratica clinica, erogazione di servizi e advocacy.

Le CPP sono una realtà in continua evoluzione che presenta differenza significative rispetto alle Cure Palliative dell’adulto3:

la popolazione è numericamente inferiore e comprende molte diagnosi di patologie rare e/o specifiche dell’infanzia. Non sempre si riesce a dare un’etichetta precisa e/o il percorso diagnostico può durare anche mesi o anni prima di arrivare a una definizione.

solo il 25% circa dei pazienti presenta una patologia oncologica;

la scala temporale in cui ci si muove è estremamente variabile poiché i bisogni di cure palliative possono esaurirsi in pochi giorni così come estendersi per mesi o anche per molti anni;

il centro della cura non è solo il bambino malato ma si estende all’intera famiglia, in modo più pervasivo ed estensivo rispetto al mondo delle Cure Palliative generali. I genitori sono spesso i caregiver nel contempo devono provvedere ai bisogni della famiglia. Sono spesso gli attori principali delle scelte di cura. I fratelli possono essere particolarmente fragili e vulnerabili e necessitano di supporto. La malattia grave di un bambino può essere un evento di impatto devastante sull’intero nucleo familiare, soprattutto se prolungata: costringe spesso a scelte forzate di cambio o rinuncia lavorativa dei genitori, mette a dura prova le relazioni e la stabilità della famiglia, modifica le scelte di pianificazione familiare, influenza le possibilità e le scelte dei fratelli/sorelle;

vi è una enorme variabilità di bisogni differenti a seconda dell’età del minore, con differenti capacità di comunicazione e comprensione, di partecipazione alle scelte di cura, di educazione e socializzazione, che cambiano nel tempo per il singolo paziente poiché la malattia non ferma la crescita fisica, cognitiva ed emotiva del bambino. Garantire le possibilità di educazione, gioco, socializzazione per il bambino malato è essenziale ed è un diritto legalmente riconosciuto in molti Paesi.

Sulla scorta di queste specificità, si possono identificare quattro principali sottogruppi di pazienti pediatrici con patologia life-limiting e/o life-threatening4,5, come riassunto in tabella 1. Si tratta, dunque, di una popolazione estremamente eterogenea per tipo di patologia, prevalenza, età di insorgenza della patologia, durata della prognosi, tempistiche e intensità degli interventi, bisogni fisici, spirituali, comunicativi, sociali.




Questi pazienti non sono dei “piccoli adulti” e necessitano di cure specialistiche adeguate; tuttavia, le complessità sopra descritte e il difficile superamento di alcune barriere che approfondiremo rendono più lento, complicato e frammentato lo sviluppo di adeguati servizi di CPP nelle varie parti del mondo, soprattutto nei confronti dell’universo degli adulti.

Analizzeremo brevemente la “geografia” delle cure palliative pediatriche in Italia, in Europa e nel mondo, fornendo soprattutto spunti bibliografici da approfondire.

Le cure palliative pediatriche nel mondo:
una breve sintesi

Per quanto detto nel paragrafo introduttivo e per l’ulteriore variabilità geografica rispetto alla prevalenza delle patologie, risulta difficile una precisa valutazione del bisogno mondiale6. Due studi del 2017 hanno stimato rispettivamente un bisogno di Cure Palliative Pediatriche per oltre 5,3 milioni nella popolazione mondale 0-14 anni7, e per oltre 21 milioni (di cui 8 milioni con necessità di cure palliative specialistiche) nella popolazione 0-19 anni8.

La prima revisione sistematica delle CPP nel mondo risale al 2011 da parte di Knapp et al.9, e ha suddiviso i vari Stati in 4 differenti livelli di erogazione dei servizi. Il 65,9% degli Stati non aveva traccia di attività riguardante le CPP; 18,8% aveva in corso delle attività di capacity building per l’implementazione delle CPP, il 9,9% aveva implementato alcuni servizi locali e solo il 5,7% poteva contare su una vasta rete di CPP integrata nel Servizio Sanitario e in grado di raggiungere una significativa parte della popolazione. I dati sono stati poi aggiornati con specifici riferimenti al mondo pediatrico all’interno del Global Atlas of Palliative Care at The End of Life (2014)10 e con Atlanti regionali pubblicati negli ultimi 8 anni, tra cui African Palliative Care Association (APCA) Atlas of Palliative Care in Africa (2017)11, Atlas of Palliative Care in Latin America (2012)12 e EAPC Atlas of Palliative Care in Europe (2019)13. Un’altra importante fonte di informazioni risiede nell’International Children’s Palliative Care Network (ICPCN)14, che mostra al momento gli aggiornamenti più recenti (2019-2020)6,15 come riassunto in una mappa facilmente scaricabile dal sito16. I documenti sono unanimi nel segnalare le importanti difficoltà nel reperire informazioni aggiornate ed uniformi dai diversi membri dei network, rendendo i dati comunque incompleti. Dai dati raccolti, nonostante un trend in miglioramento visibile nel corso degli anni, si può vedere come suddividendo il livello di erogazione dei servizi in 5 livelli solo 23 Stati raggiungono il livello 4 o 5, corrispondenti a una rete diffusa di CPP con capacità di erogare diversi livelli di cura in piena integrazione nel Servizio Sanitario generale o perlomeno con un piano di integrazione in via di sviluppo, e di questi solo 6 al di fuori del blocco Nord America/Europa/Oceania (Argentina, Uruguay, Malawi, Sudafrica, Uganda e India), sottolineando il gap esistente tra Stati ad alto reddito (High-Income Countries, HICs) e quelli a medio o basso reddito (Low-to-middle-Income Countries, LMICs).

Nell’approfondire questa disparità vale la pena fare riferimento a due studi di Caruso Brown AE et al.17 e di Sasaki H et al. 18. Si valuta che il 98% dei minori con bisogni palliativi viva in Paesi a basso reddito, di questi circa la metà nel continente africano, dove la stima dei pazienti eleggibili alle CPP rispetto al numero globale di minori in alcuni stati (Kenya, Sudafrica, Zimbabwe) è risultato 3,75-5,6 volte superiore rispetto alla Gran Bretagna. Da un lato, le esperienze di alcuni Stati come Uganda e Malawi, che hanno dovuto affrontare l’emergenza dell’HIV/AIDS, dimostrano che è stato possibile implementare dei programmi di sviluppo delle CPP con livelli di cura impressionanti a discapito di enormi difficoltà e nonostante le limitate risorse disponibili. Inoltre, vi è certamente una sottostima delle realtà che si occupano di CPP in molti stati a basso reddito, sia per una mancanza di rete, di informazioni e di integrazione con il Servizio Sanitario, sia per la possibilità che le CPP siano in molti casi erogate nello stesso contesto delle cure palliative degli adulti, in mancanza di équipe dedicate. Questo riflette, tuttavia, la carenza di formazione ed educazione di personale qualificato nella gestione dei pazienti pediatrici, anche in relazione al fatto che le necessità di supporto psicologico e sociale ai pazienti e alle famiglie si rivela spesso una criticità maggiore nei LMICs. In generale, pur con alcune eccezioni, l’accesso alle CPP così come la qualità della gestione dei sintomi, l’accesso ai farmaci, la gestione delle problematiche sociali, le possibilità di supporto psicologico e dell’elaborazione del lutto sono risultati inferiori nei LMICs. Anche ove presenti, la maggior parte dei Servizi è concentrato nelle aree urbane e non è in grado di raggiungere la popolazione nelle aree rurali e/o più isolate. Inoltre, sebbene la disponibilità degli oppiodi sia aumentata negli anni (l’uso è più che duplicato globalmente dal periodo 2001-2003 al periodo 2011-2013), questa rimane limitata soprattutto in Africa, Asia, America centrale, Caraibi, Sudamerica, Est e Sudest Europa, sia per questioni legislative (in tutto il Medio Oriente, nel 2012 la morfina iniettabile era disponibile solo negli ospedali di Israele, Turchia e Iran) sia per limitazioni culturali e formative dei sanitari, e questa problematica si amplifica nel trattamento della popolazione pediatrica.

Europa e Italia:
la mappa delle cure palliative pediatriche

Gli sviluppi delle CPP in Europa sono stati recentemente inclusi nel già citato EAPC Atlas of Palliative Care in Europe (2019)13, mediante due indagini collegate inviate ad esperti dei 54 paesi dell’aera europea, ulteriormente approfondite dagli autori Arias-Casias N et al. in un articolo del 202019.

La prima indagine ha permesso una mappa dei servizi erogati in 51 dei 54 paesi, mentre la seconda indagine forniva ulteriori approfondimenti e ha raccolto dati specifici da 34 paesi.

Un totale di 680 unità di erogazione è stato identificato in 48 dei 51 Paesi, suddivise in tre principali gruppi: 133 Hospice in 21 Paesi, 385 Unità di Cure Palliative Domiciliari (UCP Dom) in 29 Paesi e 162 Servizi intraospedalieri in 27 Paesi. Il 92% delle unità di erogazione è dislocato negli Stati ad alto reddito (HICs), sottolineando la disparità già riportata nel paragrafo precedente. Vi è, inoltre, una notevole eterogenicità tra i vari Paesi sia in termini di numeri assoluti sia in termini di tipologia di servizio offerto. Ad esempio, nei Paesi dell’Est europeo prevalgono i Servizi Intraospedalieri, mentre gli Hospice sono presenti in modo equo sia nell’Europa occidentale che in quella Orientale. In Francia non si trova alcun Hospice pediatrico ma sono presenti ben 22 UCP Dom e 22 Servizi intraospedalieri. Nazioni vicine geograficamente e culturalmente possono avere sviluppi molto diversi: ad esempio in Olanda, nazione che ha puntato molto anche su programmi di day care (presenti solo in 11 Stati), sono riportate ben 42 unità di erogazione mentre in Belgio non esiste alcun Hospice e ci sono solo 6 UCP Dom. In Irlanda e Israele molti aspetti delle CPP sono integrati in quelle degli adulti.

Nella seconda parte dell’indagine sono stati analizzati alcuni aspetti più specifici riguardo allo sviluppo delle CPP nei Paesi europei. Per quanto riguarda l’aspetto legislativo, 19 Stati (37%) hanno riportato l’esistenza di norme specifiche che regolano gli standard di cura e di erogazione dei servizi di CPP. Di questi solo 4 sono in aree LMICs.

Le cure palliative neonatali rappresentano una importante fetta di popolazione pediatrica che necessita di CPP. In 7 Paesi è presente almeno un centro di riferimento per le cure palliative perinatali, mentre una formazione in cure palliative nel percorso dei neonatologi è presente in 8 nazioni.

Come già sottolineato, una formazione specifica è cruciale per la diffusione delle CPP. Solo 14 Paesi includono le CPP nel percorso formativo della specializzazione in Pediatria, e solo 16 Paesi in quello per infermiere pediatrico. Non esiste alcuno standard europeo riguardante gli standard formativi in CPP, qualifiche e certificazioni variano in modo consistente anche ove presenti.

In 22 nazioni è presente una specifica associazione di CPP. Medici con specifica formazione in CPP sono presenti in 20 paesi. Tuttavia, solo in 7 Stati europei è presente un rappresentante delle CP all’interno dell’associazione nazionale di pediatria. In 12 Stati è invece presente un rappresentante delle CPP nell’associazione nazionale delle CP generali.

In Italia nella survey sopra citata sono riportati 5 Hospice e 7 UCP Dom mentre non ci sono dati su Servizi Intraospedalieri. Attualmente il dato aggiornato sugli Hospice è di 6 strutture (Padova, Genova, Torino, Milano, Napoli, Roma e in Basilicata) e altre 3 che sono in via di realizzazione. L’istituzione di una Rete di CPP è prevista per legge dal 2010 (Legge n. 38); tuttavia, su un fabbisogno stimato nazionale di 30.000-35.000 minori solo il 5-10% usufruisce di tale diritto riconosciuto. Su 20 Regioni, 17 hanno deliberato in merito all’attivazione di una rete territoriale ma solo in 6 di questi atti deliberativi sono descritti i criteri e i percorsi per l’attivazione dei centri di riferimento20.

Questi dati non riflettono l’importante lavoro clinico, formativo e culturale di chi si occupa quotidianamente di CPP nel nostro Paese. Infatti, se si analizzano gli aspetti della seconda indagine dell’EAPC, si può rilevare come in Italia vi siano Leggi e documenti tecnici che definiscono gli standard di cura, di erogazione e di accesso ai servizi, grazie alle consulenze degli specialisti a livello istituzionale. Inoltre esistono medici e neonatologi con formazione specifica in CPP e le CPP vengono insegnate a medici e infermieri, sebbene ancora in modo troppo limitato, come riportato da un recente articolo di Benini F et al.21.

La Società Italiana di Cure Palliative, in collaborazione con la Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus, ha pubblicato già nel 2014 un testo dettagliato che descrive il Core Curriculum in cure palliative pediatriche del medico, dell’infermiere e dello psicologo22.

Per quanto riguarda la diffusione culturale, è importante citare la Carta dei Diritti del Bambino Morente (Carta di Trieste, 2013)23 e la Carta delle Religioni per le Cure Palliative Pediatriche (2015)24.

In un articolo del 2019 di Jankovic et al.25 vengono rivisitati i criteri di eleggibilità per una presa in carico in CPP in Italia mediante la metodica della Consensus Conference tra esperti. Nel lavoro vengono riprese le specificità dei pazienti, per il 75% riferibili a patologie non oncologiche, e viene proposta una flow-chart per la valutazione di quali pazienti possano essere inseriti in un percorso di cure palliative.

Criticità e barriere nello sviluppo
delle cure palliative pediatriche

Quanto scritto nei paragrafi precedenti sulla complessità del mondo delle CPP può spiegare come mai l’accessibilità alle stesse sia ancora molto frammentaria anche in Italia e nel mondo occidentale, e questo nonostante vi sia anche una convenienza in termini di risparmio di risorse descritta in letteratura: due articoli statunitensi del 201226 e del 201627 concludevano che l’accessibilità a un servizio di cure domiciliari con reperibilità medica 24/7 e un modello di assistenza basato su cure ritagliate sui bisogni del singolo paziente si dimostrava un metodo efficiente di riduzione dei costi, limitando gli accessi a costose cure ospedaliere per privilegiare un’assistenza maggiormente coordinata e al contempo economica sul territorio. I dati italiani stimano che il costo minimo giornaliero di un bambino ricoverato in ospedale è pari a circa 1000 euro mentre a domicilio, seguito con i servizi di cure palliative specialistiche, è di circa 1000 euro al mese20. D’altra parte, come qualsiasi realtà in divenire lo sviluppo di una rete a livello locale e/o nazionale di CPP richiede dei fondi dedicati che non sono facili da ottenere soprattutto nelle fasi iniziali28.

Un’importante criticità risiede anche nel fatto che, mentre ci si rendeva conto nel corso degli anni dell’importanza delle CPP, la popolazione dei bambini con patologia life-limiting e/o life-threatening è cambiata3, poiché gli importanti progressi in termini di ricerca, tecnologia e trattamenti disponibili ha prolungato la sopravvivenza di molti pazienti ma, nel contempo, ha aumentato i bisogni dei pazienti, la complessità delle cure, le necessità formative degli operatori (a cui sono richieste competenze sempre più ampie e multidisciplinari), e non ultima la complessità delle scelte e della pianificazione dei trattamenti. Ad esempio e a riprova di quanto scritto, il 60% dei ricoveri e oltre il 70% dei decessi in Terapia Intensiva Pediatrica nello UK riguarda bambini con patologie life-limiting29.

Nel 2016 Benini F et al.28 hanno suddiviso in 4 principali aree le barriere che frenano l’implementazione delle CPP in Italia: aspetti socio-culturali, caratteristiche peculiari della popolazione pediatrica con bisogni di cure palliative, criticità nella formazione degli operatori e, infine, il tema politico-legislativo.

Collegandoci a quanto scritto sopra, un’enorme barriera culturale risiede nel fatto che la medicina moderna soprattutto quando si parla di bambini è spesso investita di aspettative irrealistiche30, in grado di provvedere sempre ad una cura, e la morte non è percepita come un possibile e a volte inevitabile outcome ma come un fallimento dei trattamenti e/o come un errore umano. Altre barriere culturali sono la difficoltà ad accettare che il bambino sia capace di partecipare alle decisioni sulla propria salute (in modo variabile e dipendente da età e condizioni), la scarsità di informazione capillare sulle CPP e le limitate conoscenze della popolazione anche solo su che cosa siano le cure palliative: si stima che metà della popolazione italiana non ne abbia mai sentito parlare e che meno di un italiano su 4 abbia una chiara idea del significato del termine cure palliative.

Le barriere riguardanti le peculiarità della popolazione pediatrica in cure palliative sono già state affrontate in altre parti di questo lavoro, mentre giova citare il tema della formazione degli operatori. L’insegnamento delle CPP, pur con dei miglioramenti negli ultimi anni, è ancora insufficiente nel percorso formativo di medici e infermieri in Italia. Perfino tra gli specialisti pediatri, la conoscenza delle CPP in termini di diritti legislativi, servizi erogati sul territorio e competenze è deficitaria. Infine, come facilmente riconoscibile all’interno del già citato Core Curriculum in cure palliative pediatriche del medico, dell’infermiere e dello psicologo22, la vastità delle competenze richieste è un vincolo che non sempre si è in grado di superare. Al di là delle competenze cliniche, la maggiore criticità formativa negli operatori di CPP risiede nell’inadeguata formazione rispetto alla comunicazione e alle capacità di lavorare come parte di un team.

Il tema politico-legislativo in Italia pone delle barriere legate non tanto alla mancanza di legislazione nazionale, che ha documentazione fin dal 2006, con successivi aggiornamenti31,32, quanto come già evidenziato nella difficoltà di porre in atto a livello regionale quanto deliberato a livello nazionale.

Un’ulteriore criticità è rappresentata dalla ricerca scientifica. Da un lato, la vitalità della ricerca in questo ambito è indiscutibile, tanto che circa la metà degli articoli scientifici sulle CPP sono stati pubblicati negli ultimi 15 anni. Dall’altra parte solo una percentuale modesta (2-12%) di tutti gli articoli pubblicati sulle principali riviste scientifiche specialistiche di cure palliative riguardano l’età pediatrica33. Senza entrare nei dettagli delle criticità più generali della ricerca in cure palliative, si può in questa sede citare una recente revisione sistematica della letteratura di Weaver MS et al.34 che ha messo a confronto gli impatti positivi e negativi sui pazienti stessi, sui familiari e sugli operatori del fare ricerca in CP e nel fine vita dei bambini. Da un lato la ricerca in questo senso è risultata piuttosto scarna, tanto che nessuno dei 24 articoli analizzati ha utilizzato una scala benefits/burdens validata. Solo 6 articoli analizzano il “peso” della ricerca sui bambini malati, i quali tra i benefici hanno riportato un dato interessante: l’inclusione in una ricerca ha facilitato il far sentire la propria voce nelle scelte di cura e l’ottenere una comunicazione onesta e completa. Il dato di miglioramento della comunicazione è stato riportato anche negli studi rivolti ai genitori, i quali hanno anche rilevato in molti casi un impatto positivo sia dal punto di vista clinico, che della percezione di un più stretto coinvolgimento con l’istituzione e gli operatori. Sono soprattutto proprio i genitori a riportare negli oneri della ricerca un rischio di eccessivo carico emotivo per il bambino malato, mentre nell’unico articolo che ha analizzato direttamente questo aspetto nei bambini non è stato riportato alcun evento negativo, ma anche in questo caso le valutazioni in tal senso sono state mediate dei genitori. Nessun articolo al momento ha analizzato direttamente con i pazienti il potenziale carico della partecipazione alla ricerca. Tenendo conto della limitata evidenza di dati così scarni, in generale i benefici rilevati sono stati superiori alle implicazioni negative della ricerca sia per i pazienti, che per i parenti, che per gli operatori.

Conclusioni e letture consigliate

Questo breve lavoro ha come scopo stimolare il lettore ad approfondire il tema delle CPP, mediante il suggerimento di alcuni selezionati lavori della letteratura italiana e internazionale. Le CPP sono un mondo in rapido divenire, certamente eterogeneo e frammentato, con molti gap da colmare soprattutto nell’accesso alle cure e nella qualità della formazione degli operatori sanitari, ma d’altra parte anche estremamente vitale e con la possibilità di fare la differenza nella vita dei bambini e delle famiglie. In nessun’altra realtà della medicina è così decisivo e importante il concetto di “Unità di Cura”, che descrive la necessità di presa in carico non solo del bambino malato ma di tutta la famiglia in tutte le sfaccettature cliniche, psicologiche, sociali.

Per chi volesse conoscere meglio questo mondo ci sono interessanti pubblicazioni, recentemente aggiornate, che provano a fornire una visione globale ed esaustiva sulle CPP35-37.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitti di interessi.

Bibliografia

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37. AA.VV. Cure Palliative per neonati, bambini e adolescenti. Scaricabile gratuitamente da questo sito: www.fondazionemaruzza.org/wp/wp-content/uploads/2016/10/fatti-ita.pdf