La comunicazione come strumento di cura

MATTEO ASTI

Accademia di Belle Arti Santa Giulia, Brescia.

Pervenuto il 4 ottobre 2020. Accettato il 9 ottobre 2020.

Riassunto. Il limitato ricorso alle cure palliative pediatriche è il riflesso di una loro percezione e rappresentazione distorta e di una cultura che fatica a mettersi in relazione con il dolore e la morte. Il presente lavoro ha l’obiettivo di tracciare le opportunità di cambiamento offerte dal nuovo panorama comunicativo dominato dal web e dai social media. Gli studi in tema comunicazione dell’health care, in generale e nello specifico campo del fine vita, suggeriscono che la comunicazione possa diventare un veicolo di significativa crescita per le cure palliative pediatriche, pur rilevandone rischi e criticità. In particolare tre sono i campi operativi individuati: la diffusione più diretta di informazioni tramite l’uso di testimonianze; l’espressione e il sostegno di pazienti, familiari e medici coinvolti nelle cure; la creazione di un nuovo ambito di ricerca sui bisogni e sulle esperienze per migliorare i servizi offerti. Con riferimento a tutti questi ambiti, il raggiungimento di effetti positivi richiede interventi intesi a superare la diffidenza nei confronti delle prassi comunicative non formali da parte del personale sanitario e fornire agli utenti e ai loro familiari delle indicazioni d’uso.

Parole chiave. Social media, comunicazione sanitaria, supporto sociale online, educazione al fine vita.

Communication as a care tool

Summary. The limited use of pediatric palliative care reflects their distorted perception and representation and cultural attitudes towards pain and death. This paper aims to trace the opportunities for change offered by the new communication landscape dominated by the web and social media. Studies on health care communication, in general and in the specific field of end-of-life, suggest that communication can become a vehicle of significant growth for pediatric palliative care, while highlighting risks and criticalities. In particular, three operational fields have been identified: direct dissemination of information through the use of testimonies; expression and support of patients, family members and doctors involved in the treatments; creation of a new research field focused on the needs and experiences of patients in order to improve the services offered. With reference to all these areas, positive effects can be achieved through interventions aiming to overcome the distrust of the healthcare personnel towards non-formal communication practices and offer to patients and their families operating guidelines.

Key words. Social media, health communication, social media listening, online social support, end of life education.

Rivendicare la facoltà santa del giudizio, a certi momenti,
è lacerare la possibilità: come si lacera un foglio inturpato leggendovi scrittura di bugie.

(Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore).

Introduzione

Il dolore, pur essendo parte essenziale della vita di tutti, è un’esperienza individuale e intrasferibile a cui tutte le culture hanno cercato di attribuire un senso. Nel corso della storia si sono succedute varie concezioni del dolore sino a quella attuale, formulata in un’epoca in cui la tecnica ha emancipato gli uomini dai loro vincoli naturali1 e in cui guardiamo con compassione a chi soffre ma al tempo stesso con fastidio e rifiuto2 e con una pretesa salvifica verso la medicina. Gli effetti sono evidenti in tutti gli ambiti sociali comprese le prassi di cura e il modo in cui vengono comunicate. Tale visione è ancora più gravosa in campo pediatrico3 e in netto contrasto sia con l’attenzione che la nostra cultura riserva ai minori sia con la non trascurabile presenza di malattie inguaribili e dolorose in molti bambini ospedalizzati la cui qualità della vita potrebbe essere migliorata grazie ai servizi di cure palliative pediatriche (CPP) disponibili ma sottoutilizzati4–6 a causa della loro percezione e rappresentazione. Non si tratta quindi di una questione solo medica e sanitaria ma anche sociale in cui le dinamiche comunicative, in una realtà iperconnessa come la nostra, hanno un ruolo tutt’altro che marginale. Per questo occorre riflettere su questo tema a partire dalle incomprensioni del pubblico, affrontando la questione della comunicazione nell’health care e il ruolo dei social media (SM) nel campo delle CPP ma anche in altre esperienze che possono offrire modelli di confronto e di crescita.

La parola vissuta: la percezione delle cure palliative pediatriche

Quello tra cure palliative (CP) e media è da sempre un rapporto difficile con problemi non solo di comunicazione pubblica7 ma, come accennato, culturali. All’origine c’è una diffusa negazione della morte e del morire che ha generato sospetto e censura a livello familiare, comunitario e mediale8, portando ad una scarsa conoscenza dell’argomento9,10 e alla creazione di tabù difficili da superare. Qualche carenza va ascritta anche al mondo sanitario che tuttavia negli ultimi anni ha riconosciuto la necessità di migliori modalità di comunicazione medico-paziente e di forme di cura sempre più attente ai bisogni complessivi del malato7.

La situazione non è migliore nell’ambito delle CPP e anzi annovera ulteriori resistenze: esse sono percepite come abbandono delle “vere” cure (mentre alcuni studi recenti ci dicono che si possono vantaggiosamente anticipare e integrare con altri trattamenti6) e sono quindi sentite come una rinuncia alle speranze di guarigione. Una visione talmente radicata che ha generato la proposta di cambiare i termini utilizzati optando per sinonimi meno connotati come comfort care o supportive care11.

Quello delle CPP non è l’unico caso di difficoltà nella comunicazione dei servizi in campo sanitario. Le origini, secondo alcuni studi di marketing, si possono far risalire ad almeno tre ordini di problemi: l’alto livello di asimmetria informativa tra chi offre e chi riceve i servizi, la difficoltà stessa di concepirli come servizi rispetto ad altri ambiti (diversamente da un turista che prenota un viaggio a Capri, l’obiettivo di un paziente non è incontrare il cardiologo o fare un ecodoppler ma scoprire o curare una patologia) e infine l’alto coinvolgimento dell’utente combinato con una forte vulnerabilità a livello emotivo12. In tale contesto uno degli aspetti più sottovalutati è quello del “passaparola”13 degli utenti: i pazienti negli ultimi decenni hanno, infatti, mostrato un crescente interesse nell’essere coinvolti nelle scelte mediche che li riguardano14,15, hanno a disposizione sempre più fonti informative13 e sono pronti a valutare i servizi e condividere i loro giudizi. Le reti sociali riescono a diffondere con successo queste informazioni16 e il passaparola può avere rilevanti effetti positivi o negativi sulla percezione e sull’utilizzo dei servizi e di conseguenza sull’efficienza degli investimenti pubblici e privati che in essi sono stati fatti17.

Alcune ricerche hanno analizzato la questione comunicativa nell’ambito specifico delle CP ipotizzando iniziative di pubblicizzazione e incontri sul tema della morte e del fine vita8. Rispetto alle CPP dove si sente la necessità di un intervento con programmi educativi18 per raggiungere una death literacy ossia un insieme di conoscenze e abilità che rendano possibile comprendere e agire in casi di fine vita e morte (un esempio è il modello australiano a quattro livelli di azione knowledge, skills, experiential learning, and social action19). Tale percorso andrebbe svolto usando un linguaggio attento non solo agli aspetti medici delle cure ma anche a quelli emotivi20, presentando con più chiarezza il supporto psicologico/sociale offerto dai team di CPP21 e puntando su un attento uso di testimonianze piuttosto che sull’utilizzo di un nuovo repertorio lessicale11.

La parola diffusa: informarsi e condividere sui social

La rivoluzione digitale sta influenzando profondamente ogni aspetto della nostra società e il web 2.0, il cloud computing, la realtà aumentata sono parte della nostra vita quotidiana. A livello sanitario il filosofo Floridi sostiene che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) porteranno a misurarci e monitorarci sempre di più in un contesto dominato da tre tendenze principali: la democratizzazione dell’informazione sanitaria, la crescente disponibilità di contenuti generati dagli utenti (UGC) relativi al tema della salute e la socializzazione delle condizioni di salute22.

Se guardiamo al presente, le statistiche del Pew Internet and American Life Project (un’organizzazione statunitense di ricerca senza scopo di lucro e apartitica che fornisce dati e analisi gratuiti sui social) mostrano una presenza crescente dei temi dell’health care nel mondo del web e dei SM e un aumento del loro utilizzo per la ricerca di informazioni rispetto a malattie e metodi di cura ed esperienze di salute di altre persone. I social si adattano soprattutto alle esigenze delle persone che soffrono di malattie croniche, in particolare nel passaggio dallo shock di una nuova diagnosi alla gestione a lungo termine della loro patologia23.

Troviamo due modelli utili per interpretare i SM rispetto all’health care (applicabili anche alle CPP la cui scarsa diffusione online rende poco utile una disamina limitata solo a questo ambito): come spazio “immediato” in cui cercare liberamente informazioni e come spazio “intimo” in cui condividere esperienze. Nella prassi queste due funzioni tendono a sovrapporsi accentuando i vantaggi per la comunicazione dei servizi sanitari che grazie ai SM può essere adattata alle priorità dei casi, beneficiare di varie opzioni di presentazione delle informazioni in base alla versatilità delle diverse piattaforme e del contributo degli utenti in ragione della natura collaborativa dei social24.

Partiamo dal ruolo informativo dei SM. Nel web si può trovare di tutto ma spesso la fatica che siamo disposti a fare è limitata. Le persone tendono a non utilizzare tutte le risorse cognitive disponibili nelle loro scelte ma solo quelle necessarie per avere un risultato sufficientemente ottimale e sono propense a interrompere la ricerca prima di esaminare tutte le opzioni possibili25. Nell’ambito di un contesto sanitario che offre molteplici strutture e opzioni di cura, tale tendenza finisce per attribuire particolare peso alle opinioni degli altri utenti12 e comporta la necessità di investire maggiori risorse per catturare l’attenzione del proprio pubblico di riferimento26. Per questo serve una maggiore attenzione verso gli UGC 26 senza dimenticare che il loro effetto è duplice: aggregano positivamente informazioni secondo il modello dell’intelligenza collettiva ma confondono frequentemente la popolarità con la qualità, sottostimando il contributo degli addetti ai lavori rispetto a quello degli utenti di maggiore successo26. Una situazione che secondo alcuni autori potrebbe migliorare con un maggiore coinvolgimento degli esperti nel monitoraggio dei contenuti e anche nella loro produzione17,27. A livello statistico la ricerca di informazioni sui SM è più diffusa tra i giovani e tra le donne28,29 e vi è un rapporto direttamente proporzionale tra la diffusione di informazioni sanitarie online su un certo argomento e il miglioramento dei relativi comportamenti dei giovani24. Questo uso dei SM influisce anche sul rapporto tra medico e paziente, portando a una comunicazione più equa30, e migliora l’accesso, la pertinenza e la credibilità delle informazioni che si basano sulle esperienze vissute31.

Passiamo ora alla funzione di condivisione dei SM. In questo ruolo i social hanno effetti positivi sulle strategie di adattamento, sull’autostima, sul senso di appartenenza e sulla competenza dei soggetti coinvolti attraverso scambi di risorse psicosociali30. Sono infatti strumenti capaci di facilitare il sostegno reciproco, garantendo un minore imbarazzo rispetto ad argomenti sensibili, la riduzione dei vincoli logistici e possibilità di accesso a nuove fonti di assistenza17. Le varie piattaforme social danno opportunità senza precedenti ai genitori e agli operatori sanitari nei casi di bambini con diagnosi di malattie croniche rare poiché offrono livelli più elevati di ricchezza di informazioni e umanità (rispetto ad altre forme di contenuti web) e grazie alla presenza di materiali multimediali (foto, video, documenti condivisi) e dinamiche interattive che meglio generano l’intimità e l’immediatezza tipiche di una rete sociale reale32. I social media offrono inoltre alla comunità sanitaria l’opportunità di relazionarsi con adolescenti e giovani adulti, coinvolgendoli in forme non possibili all’interno del setting tradizionale29. Anche se spesso i messaggi postati sono “negativi” in relazione a sintomi, complicanze ed esami (è l’opposto per farmaci e procedure), i pazienti e chi li assiste mostrano un graduale miglioramento del loro stato emotivo grazie a queste forme di condivisione33.

Nel caso specifico delle CPP, i SM hanno offerto uno spazio per dibattere sui temi del fine vita sia ai palliativisti, che hanno trovato una strada per avere informazioni in tempo reale su attività scientifiche e restare in contatto con colleghi di tutto il mondo34, sia al grande pubblico che è sempre più alla ricerca di un modello di assistenza che si dedichi alla persona in tutti i suoi bisogni rispetto ad un modello di trattamento “medicalizzato”35. Per quanto ci siano vari gruppi e pagine su Facebook sulle CPP e video su Youtube con la testimonianza di genitori di bambini malati, il mondo dei SM si evolve rapidamente e richiede un impegno continuo anche rispetto alle piattaforme emergenti che potrebbero diventare in breve tempo una risorsa decisiva per i fornitori di servizi pediatrici36.

Esistono analisi stimolanti rispetto all’uso di Twitter37,38, Youtube38–40, Instagram e persino del più recente Tik Tok41 che in Cina è già un caposaldo della comunicazione istituzionale dei dipartimenti di salute pubblica. Ad oggi, i siti web più popolari e i video di YouTube più visti sulle CP non si riferiscono quasi mai a bambini ma sempre a malati di cancro adulti e ad anziani confermando quanto la mancanza di attenzione alle CPP contribuisca alla loro scarsa comprensione38. Anche alcuni specialisti del settore sono convinti dell’utilità dell’uso di risorse web per i giovani pazienti e per le loro famiglie poiché offrono una diversa forma di espressione, una connessione e un aumento nelle conoscenze e nella capacità di reperire sostegno42. Ne consegue la necessità di una migliore considerazione di ciò che viene detto al pubblico e dal pubblico attraverso il potente strumento dei SM11.

La parola narrata: la comunicazione che cura

La National Survey: Digital Health Practices, Social Media Use, and Mental Well-Being Among Teens and Young Adults in the U.S. (2018)43 dice che gli adolescenti e i giovani adulti fanno ampio uso di risorse digitali per accedere a informazioni sanitarie, strumenti, supporto dai pari e dai fornitori di servizi. Dice pure che, per i giovani con sintomi depressivi da moderati a gravi, i SM possono essere più importanti rispetto ai loro coetanei per sentirsi meno soli, trovare ispirazione e un luogo per l’autoespressione creativa. Anche la Società Italiana di Pediatria ha sottolineato, oltre a numerose criticità, il potenziale di tali strumenti per il miglioramento dell’autocontrollo, dell’espressione di opinioni e decisioni riflessive, la possibilità per gli adolescenti che si sentono isolati e depressi di stabilire relazioni senza preoccuparsi di come gli altri valutano il loro aspetto fisico, migliorare il loro umore, sostenere la loro autostima e ottenere supporto emotivo44.

Tali riflessioni ci permettono di spostare il focus da un’ottica mediale e di marketing ad una più umana e di cura considerando la comunicazione online come uno strumento aggiuntivo nella cassetta degli attrezzi delle CPP45 che per definizione si occupano del “corpo” e dello “spirito”46 e che devono tener conto dell’importanza anche per i minori di riflettere sul significato di essere malati18. Purtroppo nella nostra società la manifestazione di emozioni o la discussione di problemi familiari con non familiari è ancora scoraggiata e l’onestà rispetto al tema della morte è percepita come una brutale invasione che priva il paziente di un bozzolo protettivo contro le avversità e minaccia i ruoli e le funzioni culturalmente prescritte ai genitori18.

Eppure per i giovani pazienti è minore il disagio di affrontare nuove disabilità e restrizioni rispetto a quello di rinunciare all’utilizzo dei SM come forma espressiva. Social, che in caso di malattia grave, diventano particolarmente preziosi per evitare il senso di isolamento e per aggiornare velocemente tutti i contatti sul proprio stato di salute47.

Andando più in dettaglio possiamo intravedere tre grandi ambiti di utilizzo dei SM da parte di giovani con malattie debilitanti e potenzialmente letali: l’interazione (con altri che abbiano vissuto esperienze simili grazie all’anonimato che può facilitare l’espressione di emozioni, sentimenti ed esperienze intime), la presa di coscienza (cercando supporto emotivo e informativo e raccontando il proprio vissuto), la condivisione (dando una forma narrativa della malattia col desiderio di lasciare un’eredità o di essere utili ad altri). A tali funzioni si accompagnano anche dei rischi relativi all’accuratezza dei contenuti trovati, alle risposte negative ricevute e al timore di non riceverne e al conseguente senso di abbandono48.

Anche per le famiglie (e in generale per chiunque assista il paziente) il ruolo del web è decisivo: il maggior supporto arriva dalle piattaforme che offrono informazioni e socializzazione e quindi soprattutto dai SM che permettono di creare gruppi di persone che vivono situazioni simili32 e offrono alti livelli di intimità. I benefici in questo caso sono il supporto fiduciario ed informativo nell’affrontare processi decisionali complessi12,49, la limitazione dello stress50, la possibilità di interagire in modo più positivo con gli operatori sanitari e le informazioni mediche e quella di poter condividere un’esperienza che i membri della propria consueta rete sociale non possono capire, evitando il senso di isolamento e incertezza32. Il fatto di preferire il confronto con persone in condizioni simili alle proprie rispetto a quello con gli esperti è dettato anche dalla scarsa disponibilità di medici disposti a interagire online con le famiglie51. Una possibilità di cui si sente invece l’esigenza52 e che potrebbe aiutare a circoscrivere i casi in cui si verificano contenziosi da parte delle famiglie e i sempre più frequenti strascichi in rete53 con minacce e attacchi verso gli operatori sui SM (rispetto alle quali i tribunali e le autorità sanitarie hanno ancora pochi strumenti per proteggere sia i pazienti che il personale54). Più in generale servirebbe un’educazione ai SM da parte dei team di CPP per evitare che si creino dinamiche comunicative inaspettate e per preparare pazienti e famiglie alle opportunità che questi strumenti offrono nel processo di cura e nel fine vita45, sostenendoli nei loro storytelling36.

Infine, se gli studi sono chiari sulla necessità di sensibilizzare il pubblico verso le CPP, per farlo occorrono gli strumenti adeguati e che i vari protagonisti abbiano l’opportunità di rappresentarsi nei media55. Per questo gli hospice sono uno snodo essenziale e per quanto siano già attivi sui SM con vari temi (raccolta fondi, condivisione delle migliori pratiche cliniche, promozione di attività educative e annunci di lavoro), potrebbero esserlo ancora di più raccontando con chiarezza ed efficacia i vantaggi delle CPP per pazienti e famiglie, condividendo le loro storie56, sfidando la tradizionale immagine di istituzione (ossia di luogo separato dal resto della società in cui il malato è segregato e dove la sua libertà è annullata in nome della cura) attraverso autorappresentazioni più umane e “affettive”57 nonché realistiche. Un approccio potrebbe anche essere quello di pensare la comunicazione di un hospice come quella di una comunità, rendendola un aspetto importante delle socialità interna47 senza dimenticare che come per ogni attività serviranno regole chiare e ben delineate per rispettare la privacy di tutti i soggetti coinvolti ed evitare ulteriori forme di conflitto58.

La parola ascoltata: fare ricerca sulle cpp coi contenuti online

Chiudiamo con una domanda metariflessiva: “la comunicazione può curare la cura?”. Il web 2.0 si caratterizza per migliorare con l’uso e perfeziona i suoi servizi (motori di ricerca, SM, app, wiki, ecc.) in misura direttamente proporzionale all’utilizzo che ne fanno gli utenti59. Ci sono app di navigazione in cui possiamo segnalare incidenti o deviazioni e far viaggiare in maggiore sicurezza altri guidatori, piattaforme di e-commerce in cui possiamo trovare valutazioni e suggerimenti d’uso basate sui giudizi di altri clienti. In qualche misura anche l’indagine scientifica in campo medico sta scoprendo l’utilità dell’enorme massa di contenuti presenti in rete e, nello specifico, dei contenuti postati dagli utenti.

I SM, nel loro uso più semplice, sono già diventanti uno spazio in cui reclutare soggetti per la ricerca sulle CPP60 offrendo uno strumento economico, efficiente e capace di raggiungere un campione demograficamente rappresentativo di adolescenti e giovani adulti, compresi quelli tradizionalmente sottorappresentati nelle ricerche61. Ma dei SM si possono anche studiare i contenuti pubblici degli utenti rispetto a vari argomenti inerenti le CPP: va precisato che ci sono sia sostenitori sia detrattori di questa tipologia di indagine e se da una parte c’è chi evidenzia l’utilità di conoscere le ricerche e i post dei propri pazienti per capire quali idee abbiano e come se le siano fatte62, dall’altra c’è chi sottolinea i rischi per la privacy e sostiene l’esigenza di regole e limiti molto stringenti63.

Se i materiali e gli strumenti sono innumerevoli, i metodi di studio da applicare sono complessi e vanno affinati tenendo conto che post e tweet sono soggetti ad una forte dose di condizioni che non li rendono un campione statistico rappresentativo della popolazione64. Quel che è certo è che persino alcune ricerche su farmaci, strumenti e protocolli di cura si stanno sviluppando sui SM grazie a forum, gruppi e chat65 ma soprattutto che vari operatori sanitari sentono il bisogno, come professionisti, di conoscere e comprendere ciò che i loro pazienti vivono psicologicamente, emotivamente e spiritualmente, al fine di fornire un’assistenza che sia davvero “olistica”66.

Conclusioni

Il limitato ricorso alle CPP è il riflesso di una loro percezione e rappresentazione distorta e di una cultura che fatica a mettersi in relazione con il dolore e la morte. Il nuovo panorama comunicativo dominato dal web e dai SM non ha cambiato la situazione ma ci sono opportunità che se ben comprese e gestite sembrano essere promettenti: da una parte i SM garantiscono modi nuovi di diffondere informazioni, soprattutto sotto forma di esperienza diretta, che ben si adattano ai pubblici più giovani, dall’altra sono un veicolo di espressione e di sostegno importantissimo per tutti coloro che sono coinvolti in contesti legati a malattie incurabili e al fine vita. Infine i SM possono anche diventare uno spazio in cui studiare il modo in cui le CPP sono percepite e vissute per migliorare i servizi offerti e la loro efficienza concorrendo a dare senso e speranza a momenti molto delicati della nostra esistenza.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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