Cure palliative: tanti i bisogni, pochi i medici

Italo Penco

Presidente SICP - Direttore sanitario, Fondazione Sanità e Ricerca, Roma

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Le cure palliative sono un diritto umano e in Italia ciò è sancito da una legge nazionale specifica, la legge 38 del 2010. Tale diritto è stato rafforzato successivamente anche dalla legge 219 del 2017, il cui oggetto non riguarda specificatamente le cure palliative, ma al cui interno, nei vari articoli, vi si ritrovano le specificità di tale disciplina. Sono, infatti, in evidenza il consenso informato e la pianificazione anticipata di trattamento per dare la possibilità al malato di poter scegliere la giusta cura anche al termine della vita, evitando trattamenti sproporzionati al proprio volere. La possibilità di poter essere sottoposti a sedazione palliativa profonda in caso di sofferenza refrattaria a qualsiasi trattamento farmacologico è riportata in maniera esplicita, così come è chiaramente riportato che il tempo della comunicazione è tempo di cura, visto che dare “cattive notizie” è una competenza necessaria per chi è a contatto con persone inguaribili.

In entrambe le leggi ci sono articoli dedicati alla formazione che rappresenta un momento imprescindibile per poter erogare cure di qualità e l’accordo Stato-Regioni del 10 luglio 2014, proprio ai sensi dell’art.5 della legge 38, ha definito le caratteristiche che i professionisti devono possedere in termini di conoscenze e competenze per poter erogare cure palliative.

In assenza di una scuola di specializzazione in cure palliative, si è data la possibilità anche ai medici privi di specialità che hanno acquisito sul campo competenze specifiche nel triennio indicato dalla legge di stabilità (legge 147 del 27/12/2013), di poter lavorare all’interno delle reti di cure palliative.

In otto anni da quando è stata promulgata la legge, di fatto si è creata la disciplina in cure palliative e si è consolidato il principio che chi lavora in quest’ambito deve possedere un percorso formativo professionale specifico e di qualità.

Quest’anno in ambito accademico si è ottenuto un grande risultato con l’inserimento di crediti formativi universitari obbligatori nel corso di laurea di medicina e delle altre professioni sanitarie a conferma di una disciplina che necessita di una specifica competenza per rispondere ai numerosi bisogni dei malati e delle famiglie, sempre più complessi.

Il percorso accademico è però solo avviato e bisognerà attendere qualche anno per vedere uscire dalle università professionisti che abbiano le conoscenze di base in cure palliative.

Le cure palliative fanno parte dei livelli essenziali di assistenza, sono una disciplina specialistica e le persone che necessitano di tali cure sono sempre più numerose visti i cambiamenti socio-demografici che comportano una maggiore sopravvivenza, anche se, con l’aumentare dell’età, emerge una maggiore fragilità e la non autosufficienza.

L’implementazione delle Reti Locali e Regionali di cure palliative è diventata quindi una priorità, in particolare l’incremento dell’assistenza domiciliare specialistica che rappresenta il setting più adeguato per le risposte assistenziali, così come delle risposte ambulatoriali e l’attivazione di team ospedalieri di cure palliative.

Ancora non abbiamo, purtroppo, dati attendibili sul numero di malati che usufruiscono dei servizi domiciliari di cure palliative, ma sappiamo bene che la prevalenza dei pazienti adulti con questi bisogni è di 524.000-733.000, circa l’1-1.4% della popolazione e che Il 30-45% di questa popolazione richiede un intervento di Cure Palliative Specialistiche (Global Atlas of Palliative Care at the end of life – WPCA e WHO 2014). Ogni anno, in Italia, muoiono 400.000-500.000 persone con bisogni di cure palliative nel loro ultimo periodo di vita, ma siamo ancora lontani dal riuscire a dare una risposta adeguata a questi numeri.

I motivi di questa difficoltà sono diversi, ma oggi a fronte di un impegno per far conoscere ai cittadini la possibilità di poter accedere ai servizi di cure palliative e ad un impegno per un cambiamento culturale rispetto alle problematiche sul fine vita, ci troviamo di fronte al problema di non avere sufficienti professionisti sanitari preparati per rispondere a tale esigenza.

Il problema della carenza dei medici specialisti è un problema nazionale che riguarda non solo il mondo delle cure palliative, ma tutta la sanità. La mancanza di una scuola di specializzazione in cure palliative penalizza ulteriormente questa disciplina, perché i professionisti in possesso di una delle specialità previste dal comma 2 dell’art 5 della legge 38, preferiscono impegnarsi nella loro disciplina specifica piuttosto che nelle cure palliative anche perché nel loro piano di studi fino ad ora le cure palliative non sono state proprio contemplate. Solo quest’anno probabilmente si riuscirà ad inserire un CFU all’interno dei piani didattici delle nove specialità previste dalla legge.

Purtroppo, oggi sembra difficile ottenere una Scuola di Specializzazione in cure palliative a causa della mancanza del Settore Specifico Disciplinare, ma resta l’impegno della nostra società scientifica per mantenere dignità alla disciplina, ufficialmente riconosciuta nel 2013, cercando di ottenere una sub-speciality nell’ambito della medicina interna o dell’oncologia, obiettivo che, in effetti, sembrerebbe raggiungibile.

In ogni modo il percorso formativo accademico presenta dei tempi ancora lunghi e intanto è necessario trovare una risposta adeguata alle criticità emergenti.

Se da una parte dobbiamo quindi rispondere ai bisogni della complessità e del numero di persone da accompagnare nel fine vita, dall’altra abbiamo il problema di non avere sufficienti professionisti abilitati e preparati ad assolvere agli emergenti bisogni di chi è affetto da malattia inguaribile.

La deroga al requisito della specializzazione per i medici che possedevano almeno un’esperienza triennale nel campo delle cure palliative, introdotta dalla legge 147 del 2013, ha dato la possibilità di riconoscere formalmente il percorso professionale a coloro che hanno messo a disposizione la loro esperienza e competenza per lo sviluppo delle reti di cure palliative.

Tale deroga non è stata sufficiente a rispondere alle esigenze reali ed oggi si stima una carenza di circa il 30% di medici palliativisti (la regione Lombardia lo ha stimato in maniera puntuale, ma anche nelle altre regioni il problema è evidente).

Senza nulla togliere alla dignità della disciplina è, pertanto, necessario trovare oggi una soluzione che consenta di individuare delle professionalità in grado di traghettare il sistema fino al momento in cui le Università saranno in grado di dare le prime risposte concrete formative.

È proprio per questi motivi che nel disegno di legge di Bilancio del 2019 sono stati accolti gli emendamenti per un’ulteriore deroga per i medici sprovvisti dei requisiti previsti dal decreto del Ministero della Salute 28 marzo 2013 e che alla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2019 sono già in servizio presso le reti di cure palliative.

I criteri individuati per ottenere la deroga sono puntuali e restrittivi dando garanzia di un’esperienza acquisita e supportata da un percorso formativo documentato.

In particolare sarà necessario che la Regione di appartenenza certifichi il possesso di un’esperienza almeno triennale, anche non continuativa, nel campo delle cure palliative acquisita nell’ambito di strutture ospedaliere, residenziali-hospice e UCP domiciliari accreditate per l’erogazione delle cure palliative con il Servizio Sanitario Nazionale; un congruo numero di ore professionali esercitate e di casistica assistita corrispondente ad almeno il 50% dell’orario previsto per il rapporto di lavoro a tempo determinato (di fatto almeno 19 ore settimanali); l’acquisizione di una specifica formazione in cure palliative conseguita attraverso l’educazione continua in medicina, ovvero master universitari in cure palliative, ovvero corsi organizzati dalle Regioni per l’acquisizione delle competenze di cui all’accordo tra il Governo, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 10 luglio 2014.

Non sappiamo se questa soluzione possa rispondere totalmente al problema attuale. È sicuramente un compromesso che nulla toglie alla professionalità di coloro che sono impegnati ed inseriti nelle reti di cure palliative ed è una concreta possibilità per consentire al sistema sanitario di dare una risposta ai diritti dei malati che altrimenti rimarrebbero inevasi.

Nell’ambito della società scientifica forse non tutti sono concordi nell’assecondare una nuova deroga che sani la posizione dei medici privi delle specialità equipollenti, ma allo stato attuale credo sia l’unica possibilità oggettiva in mancanza di un’alternativa che altro non può essere che quella accademica, dalla quale però potremo avere delle risposte non prima di qualche anno.